Yo La Tengo - And Then Nothing Turned Itself Inside-Out (Matador, 2000)
Se è vero che lo stile non è altro che l'autocontrollo di chi si limita a compiere alcune scelte nell'ambito del proprio gusto è altresì vero che gli Yo La Tengo sono i detentori di un suono unico. Dopo una gestazione lunga tre anni, il trio di Hoboken é riuscito (cosa non certo facile) a ripartire dal punto dove era arrivato con I Can Hear Your Heart Beating As One che aveva idealmente chiuso quella fase incominciata nel '92 con May I Sing With Me. Questa volta i coniugi Kaplan e Hubley hanno abbassato ulteriormente l'amplificatore e sono in parte ritornati allo stile folkeggiante di Fakebook.
Everyday, posta in apertura, ci dà fin da subito l'idea del suono etereo che avviluppa tutto il disco: un tappeto sonoro minimale composto dal soffio monocorde di una tastiera, una chitarra appena accarezzata e gli accenti sinistri di un basso, tutto all'insegna dell'impalpabilità. L'album è pervaso da questo mood di quiete olimpica ma riesce quasi miracolosamente a mantenere intatti i suoi equilibri interni, senza mai concedere nulla alla monotonia, sviluppandosi in un effetto di seduzione continua.
E' un po' come se i Velvet del terzo album si cimentassero col post-rock (qualsiasi cosa esso sia): il sussurro di Saturday, le tastierine alla Stereolab di Let's Save Tony Orlando's House, la languida Our Way To Fall, la dolce nenia di Tears In Your Eyes, le cadenze marziali delle percussioni di Last Days Of Disco (i Can di Future Days dietro l'angolo), il jangle di Madeline, l'organo liquido di From Black To Blue, il raga distorto di Cherry Chapstick (i Sonic Youth di Teenage Riot) e, non ultima, la spartana cover di You Can Have It All di George McRae, un classico della discomusic (!).
Night Falls On Hoboken è la degna chiusura dell'album: una carezza psichedelica di diciassette minuti, la colonna sonora ideale per lo scenario crepuscolare ritratto sulla copertina: un mantra ipnotico che si protrae fino a sfumare progressivamente nella trance totale. E' l'apoteosi dell'ipnosi, un soffio vorticoso da cui è impossibile non essere risucchiati.
Questo è l'album dove la passione che gli YLT coltivano
per le atmosfere rarefatte e notturne - cui essi ci hanno abituati
da tempo, persino negli episodii più movimentati degli album
precedenti (ad esempio con Sugarcube, che pur essendo una
canzone rock ha un andamento così ipnotico e felpato..) - trova
la sua espressione più completa. Pur trattandosi, secondo me,
di un album di transizione, gli YLT dimostrano ancora una volta
di aver tratto grandi ammaestramenti dai Velvet Underground e
di saper lavorare sulle canzoni per sottrazione-addizione progressive
di suoni con un gusto impareggiabile e senza mai appesantire nulla.
Impagabili Our way to fall e Last Days of Disco: si vorrebbe non finissero mai.
Alberto
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