To The Ansaphone - S/T (Heartfelt, 2003)

E' quasi impossibile parlare di un disco come l'esordio dei To The Ansaphone senza dover citare i tanti gruppi che vengono in mente ad ogni canzone. Perciò ho deciso che li citerò tutti subito, in modo da togliermi il pensiero una volta per tutte: i Joy Division e i New Order (i primissimi, quelli di Movement), i Fall, i P.I.L., i Gang Of Four, i Killing Joke del primo LP, i Tuxedomoon, i primi Death In June, gli Ex, gli Unwound, i Gogogo Airheart, gli El Guapo, i Rapture, i VSS, certe cose dei Fugazi, i gruppi su GSL e quelli su Troubleman Unlimited (la SST del nuovo decennio?).
Fatto. Ci sono tutti. Ora si può parlare del gruppo serenamente.
Questo disco è stato per mesi una delle produzioni più attese di tutta la scena indie nazionale: da un concerto all'altro il gruppo non ha fatto altro che aumentare il numero di adepti, le esibizioni lasciavano trapelare che le canzoni fossero ormai pronte e strutturate.
Non ho ben capito cosa abbia fatto ritardare l'uscita del disco, so solo che ora c'è. Ed è perfetto.
La prima cosa che non si può fare a meno di notare è come il gruppo, rispetto al primo acerbo 7", abbia imparato ad affinare la propria capacità di scrittura: Basel, Obscure Desire Of Bourgeise e The Subtle Trap Of Looking Back sono semplicemente meravigliose, con la seconda come vertice assoluto del disco. E sono proprio canzoni come queste che fanno la differenza con gran parte della "new wave della new wave" (ehm...scusate per la definizione!), troppo impegnata a ricalcare uno stile per perdere tempo a scrivere delle canzoni vere e proprie (vedi l'ultimo disco dei Faint: il suono è stupendo, lo stile c'è tutto, ma poi ti accorgi che a mancare sono proprio le canzoni...).
L'altra grande maturazione del gruppo è nella tecnica: la batteria è secca e incisiva, la chitarra rinuncia a certe "esasperazioni" che emergevano nei concerti (un buon metro di paragone può essere Andy Gill dei Gang Of Four: andateli a vedere dal vivo e capirete!) per diventare molto più raffinata, il basso è preciso come un metronomo ed insegue (come si usava una ventina d'anni fa) giri quasi dub, mentre tutto il gruppo ha imparato a fare un uso più funzionale delle tastiere e dell'elettronica.
Forse avrei voluto più parti cantate, ma in fin dei conti si finisce quasi per immaginare il disco come una sorta di colonna sonora di un film che non c'è, ma di cui si intuisce un'ambientazione notturna, cupa, disperata, quasi degna di un regista come Fassbinder o Tarkovsky...
Forse l'unico difetto che riesco a vedere in questo disco riguarda la voce, troppo vicina a certo hardcore: ma probabilmente rappresenta per il gruppo il modo per restare ancorati al loro retroterra musicale e per non trasformarsi in sterili revivalisti.
Un esordio prezioso, uno dei migliori dischi italiani di sempre: ma perchè la decisione pazzesca di pubblicarlo in tiratura limitata?

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