Per la serata dedicata all’etichetta VON all’interno della rassegna Open, questa sera alla triennale ci sono i Wolf Eyes, reduci dal Three Days Of Struggle in cui hanno suonato in ognuna delle tre serate e in apertura c’è Ghédalia Tazartès assieme a Nico Vascellari: curiosi per entrambi i set appena usciti dall’ufficio ci mettiamo in auto alla volta di Milano.
Ad un appuntamento in un luogo così chic partecipano appassionati di musica, imbucati da vernissage, gente molto alla moda, addetti ai lavori… una discreta folla di persone più o meno eccentriche che affolla il bar di fronte al parco in attesa dell’inizio delle danze, in una atmosfera tranquilla e rilassata. Invece di essere all’aperto il concerto è spostato al teatro della triennale, un luogo davvero eccellente per resa sonora ed esteticamente molto bello: è in questa cornice da capogiro che salgono per primi sul palco Vascellari e Tazartès. Mentre l’italiano accompagna i brani della performance ponendosi sempre in secondo piano con il suono della sua voce filtrato attraverso pedali ed effetti, Ghédalia Tazartès fa sua la scena grazie ad una capacità vocale notevole e una creatività spiccata, condita pure da una bella dose di ironia. Accompagnato qui e là da qualche campanello o altro ammennicolo, il francese di origine turca è un fuoriclasse non facilmente categorizzabile e si conquista in breve il pubblico anche con la sua simpatia e la sua semplicità; fruibile ma estremo, sperimentale e melodico, il nostro sciorina vocalizzi via via declinati in forma di drone, di canto e di suono: il suo concerto è definitivamente una esperienza. Dopo una breve pausa e montato il palco salgono i tre americani, che da subito mostrano la direzione che intendono prendere: niente prigionieri! I primi venti minuti del loro concerto li vedono infatti produrre colate di rumore come fabbri ferrai, e il loro background hardcore si vede eccome: mentre John Olson percuote un basso autocostruito con un tronco, dall’altro lato Mike Connelly “suona” la chitarra come un indemoniato mentre al centro Nate Young si tortura l’ugola contorcendosi su sé stesso. Poi Young dichiara che è cosa buona e giusta far saltare l’audio degli impianti e che è sempre così che dovrebbe succedere, si scusa per avere torturato eccessivamente gli amplificatori e, mentre Olson passa al sax soprano, i nostri attaccano con la seconda parte del concerto, più ambientale e atmosferica, comunque carica di colori scuri ma per nulla scontata; l’esperienza e le capacità del trio sono sotto gli occhi di tutti e anche se personalmente non mi fanno gridare al miracolo, i Wolf Eyes dal vivo fanno la loro porca figura senza mai cedere il passo alla noia.
Usciti all’aria aperta nella notte milanese ci dirigiamo verso casa ben contenti di avere affrontato la trasferta infrasettimanale, anche grazie agli orari accessibili che hanno permesso a chi come noi vive alla periferia dell’impero di godere di una serata speciale.
Foto di Federico Tixi