Faceva notare il buon (?) Giorcelli, in una recensione di qualche settimana fa, come, sotto il cielo della musica estrema, grande fosse la confusione dopo la venuta dei Neurosis; probabilmente non avremmo neppure il post-core come lo intendiamo oggi. Bene, anche i VØID sono figli di questa visione, ancor prima che di questo suono, unitamente alle atmosfere degli Integrity più lenti e metallosi degli esordi. Il nome è lo stesso di una formazione mitica del giro washingtoniano che fu, ma i bergamaschi lo fanno loro riferendolo a un vuoto diverso, metafisico e scuro, dominato da un drone primordiale ordinato dalla batteria in giri di chitarra ripetitivi, che poi progrediscono con lente e pesanti variazioni; la voce, per farsi spazio, deve farsi inumana, come tante volte ci è capitato di sentire. I pochi momenti semiacustici, a volte addirittura pianistici, danno la sensazione di una pace desolante. In un tale scenario, in cui il suono si solidifica e si sublima di continuo, sorprende l’assenza degli improvvisi crescendo metallici, tipici stilemi del post-core: è un segno di forza. I VØID sono già oltre la messa in scena dell’apocalisse sonoro e galleggiano in un universo dove i parametri di velocità, tempo e densità sono completamente alterati. Nella loro musica il crollo è ormai alle spalle, il buco nero è stato attraversato. È tempo di prendere possesso del vuoto.
VØID – S/T (Weirdo/Hanged Man/Moshpit Culture, 2010)
