U.S. Girls + Father Murphy – 07/01/09 Arci Kroen (Villafranca – VR)

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Portarsi sul posto in anticipo per poter gustare un buon pasto nella trattoria all'interno del Kroen è certo il modo migliore per calarsi nel clima caloroso che caratterizza l'isolato locale veronese. Specie d'inverno e in una serata umida come questa, un piatto di pasta annaffiato da buon vino è il viatico ideale verso il concerto dei gruppi che stanno cenando al tavolo a fianco: Father Murphy e U.S. Girls. Dei primi, che aprono la serata, si è parlato di recente su queste pagine e non possiamo che ripetere quanto di buono avevamo già detto. Il loro doom minimale e le loro litanie hanno gioco facile nell'ipnotizzare i presenti e si ha la netta sensazione che se, anziché concludere il concerto staccando gli strumenti, avessero continuato a suonare infilando la porta d'uscita, non avremmo potuto far altro che seguirli come bambini al suono del pifferaio di Hamelin. Ringraziamo il cielo che ai tre non sia balenata l'idea di tentare us girlsl'esperimento, essendo abbastanza difficoltoso il vagare nella campagna attorno al Kroen dopo giorni di pioggia ininterrotta e ci prepariamo ad assistere al concerto delle U.S. Girls. Le U.S. Girls sono Megan Remy, un registratore a nastro, un distorsore, un delay, un microfono; nient'altro. Qualche minuto passato a regolare le due grandi bobine, senza che ben si capisca se si tratti già del concerto, qualche scambio di battute col fonico, poi il nastro comincia a riprodurre musica e non c'è dubbio che sia iniziato: lei quasi sempre inginocchiata, a schiacciare i pedalini con le mani cantilenando nel microfono. Noi a farci timidamente intorno, perché la performace non ha nella comunicatività il suo punto di forza, tutt'altro. È anzi in qualche maniera volutamente autistica e sfigata, con la musica ultracompressa e per lo più aritmica che esce dal nostro magnetico e la voce che intona cantilene atone e melodie che sembrano partorite durate il dormiveglia. Un indie-karaoke ostico che bazzica i Suicide più apatici, scandito dai tempi senza stacchi del nastro. Nella sua voluta povertà un concerto del genere ha il suo fascino, seppure un po' sfigato (o forse father Mproprio per quello), ma certo corre il rischia di annoiare i presenti, alla lunga. Si prospetta insomma uno di quelle serate in cui l'arrivare alla fine è una prova di resistenza, una sfida fra il pubblico e il musicista che va al di là delle questioni di gusto. Ma non abbiamo il tempo di pensarlo: Megan tocca il tasto "stop", il nastro si ferma, lei saluta. Saranno passati sì e no venti minuti. Ci ha fregato. Resta sottilmente il dubbio che si tratti solo di una serata storta, che normalmente il concerto sarebbe durato di più, sfondano il muro del tedio, ma poco importa. Ci ha paventato la noia e invece ci lascia col languore nello stomaco. Sì, ne avremmo voluto ancora. Ha vinto lei.

(Foto di Milvia)