Una mappa del corpo di Tancredi Bin

Mappa di ogni corpo è un esordio sorprendente per diversi aspetti, per come riesce a fondere musica pop e psichedelica in maniera del tutto naturale e personale, esprimendo in qualche modo mutazioni fisiologiche da un passato fecondo nell’ambito come quello italiano, pensando a certo Lucio battisti o anche esperienze più prog. Ma c’è molto altro, soprattutto la forza di un esordio che riesce a connetterci ed a farci viaggiare su un disco in maniera assolutamente magica. Non potevamo farci sfuggire l’occasione di scambiare qualche chiacchiera con il suo autore, Tancredi Bin.

Ciao! Come posso chiamarti? Tancredi?

Sì, Sì, è il mio nome!

Ah, è il tuo nome? Ero in dubbio se fosse un nome d’arte, perfetto allora…
Innanzitutto grazie mille della disponibilità…io ho sentito il tuo disco dopo aver sentito soltanto il tuo primo singolo ad esser uscito quest’anno, All’Apice, per poi ascoltarmi il disco intero in questi giorni, buttando giù un paio di domande. Quindi Tancredi Bin…

È proprio il mio nome e cognome, da una parte era già abbastanza strano così ed ho ragionato che se non mi fosse venuto in mente nessun nome d’arte per il mio progetto sarebbe andato già bene per fare le mie cose e non sarebbe stato il caso di cercare troppo!


Tancredi Bin – All’Apice

La prima cosa che viene veicolata su di te nella maggior parte dei casi è che tu fossi un batterista metal, mentre con il tuo disco siamo più nell’ambito del pop più psichedelico. Che tipo di percorso musicale hai avuto e che cosa ti ha portato a ragionare un esordio con queste sonorità?

Aha, questa cosa del fatto che fossi un batterista metal c’è ma è solo una fra le varie cose, nella mia testa a livello musicale. Ad un certo punto ho smesso di esserlo perchè volevo iniziare a scrivere a casa mia, a cercare di far partire il progetto. Sul come sia arrivato a fare la musica che senti, a livello di sonorità, non saprei dirti. È semplicemente la musica che volevo fare, volevo ricercare determinate suggestioni e quelle sono le sonorità che sono uscite, non c’era troppo l’idea di inserirsi in un contesto o di fare un “determinato tipo di musica”. Diciamo che l’unica vera base da cui sono partito per fare il disco che hai sentito era una contingenza materiale stringente nel senso che dopo anni (quando ancora suonavo la batteria) passata a scrivere un’enorme quantità di musica pensando di proporla ad altri musicisti in un progetto nel quale avrei suonato la batteria e qualcuno altro gli altri strumenti e qualcun altro ancora cantase quello che scrivevo mi sono reso conto che per fare una cosa simile avrei in realtà dovuto mettermi daventi io e metterci faccia, voce e tuto il resto. Attorno il 2018 ho quindi smesso di suonare con altri ed ho iniziato un lungo, soddisfacente ma anche angoscioso, percorso di evoluzione delle capacità che mi servivano per fare qualcosa in generale. In realtà prima di inziare a scrivere le demo di questo disco stavo scrivendo una cosa molto diversa (che forse un giorno farò perchè è una cosa che ancora mi interessa) però mentre facevo quelle demo, superando il grosso ostacolo di registrare in casa senza avere la minima idea di come fare mi sono detto: “questo progetto mi piace ma non riesco a produrre nemmeno delle demo per veicolarne l’idea agli altri”. L’ho quindi accontonato ed ho iniziato a scrivere qualcosa con l’unica condizione per la quale sarei stato in grado di mettermi, nel tempo libero che ho, a registrare delle demo che mi soddisfacessero e che fossero precise, non lasciando troppo spazio all’interpretazione, non una semplice traccia chitarra e voce. Ed infatti alla fine, quello che ho registrato a casa mia sono le tracce che si sentono nel disco, uscendono dopo un annetto con delle demo talmente dettagliate che sono più o meno diventate i pezzi. Una contingenza materiale come sola condizione…le sonorità sono venute fuori perché era quello che avevo da esprimere evidentemente in quel periodo, ma l’importante era appunto che potessi farlo da solo.

Hai avuto questo percorso che mi dicevi hai iniziato nel 2018. Tu quando hai iniziato a suonare per collocarti temporalmente?

Ah, io ho iniziato a suonare al liceo, con altre persone (la batteria) nel 2011!

Ok, una quindicina d’anni quindi, sì. Nel disco sei stato affiancato, da come parlano i crediti, da Simone d’Avenia…

Sì, diciamo che sono arivato da lui con le demo fatte e registrate in camera mia e con lui abbiamo raffinato, registrato un paio di cose, registrato le batterie (che erano programmate sulle demo e come batterista per me questa cosa non esisteva) e Simone mi ha aiutato principalmente a registrarle ed insieme l’abbiamo mixato e finito. L’ha prodotto in questo senso diciamo.

Temporalmente quanto tempo è passato dall’inizio dell’ispirazione e la fine delle registrazioni?

È stato…allora, penso che il primissimo progetto l’abbia aperto che era il dicembre del 2021 quindi in realtà tuto il 2022. Ho mandato le demo a Simone a maggio 2023, quindi un anno e mezzo come tempistica.

Se ben ricordo Cecilia (ufficio stampa di Panico Concerti) mi mandò una promo del disco già ai tempi del primo singolo quindi era già tutto concluso a primavera?

Sì, calcola che le demo le avevo mandate a Simone un anno prima, abbiamo mixato il lavoro nell’estate del 2023 ed il master è stato finito a gennaio del 2024.

A livello di etichetta, il disco esce per Oyez che, vedendo il catalogo, sempra una realtà più votata alla musica urban (Vergo e Matilde in catalogo). Che tipo di avvicinamento e collaborazione è scattata? Cos’è successo affinché tu finissi da loro?

È stato molto semplice perché io ho mandato le demo del disco anche ad altre etichette e Simone mi ha detto di provare a mandarle ad Oyez e Claudio di Oyez ne è stato subito entusiasta e quando una persone ne è così entusiasta non c’è molto altro da fare! In realtà credo che Oyez sia soprattutto un editore e la parte di etichetta è una cosa in via di sviluppo ed anche questa cosa mi è piaciuta molto, sono abbastanza aperti anche ad inserire nel loro catalogo non diresti potessero essere nelle loro corde ma evidentemente la musica gli è piaciuta e si sono detti. “facciamolo!” ed ho apprezzato molto questo metodo.

È anche vero che una certa apertura mentale e musicale corrisponde poi anche a te, avendo tu una crescita ed una formazione suonando metal ed arrivando ad un esordio del genere significa che i confini sono belli ampi e ritrovarsi da loro forse è destino.

Anche questo è vero, poi come ti dicevo si è clickato subito con Claudio ed Oyez e ne sono felicissimo!

Io ascoltando l’ambientazione, la luce e la voce nel disco mi ha dato a tratti l’impressione di un Lucio battisti più dilatato, più aperto ed espanso. Poi ho pensato a quanto si canti in italiano al giorno d’oggi ed ho avuto veramente molte difficoltà a dire: “ok, un Tancredi Bin potrei associarlo o vederlo bene con…”. Mi sembra molto personale ed originale come proposta…

Grazie! Lo prendo come un complimento!

Lo è! Nel senso che è comunque cosa buona arrivare ad un esordio così personale…come vivi il presente italiano? È una cosa che vivi e che senti vicino?

Sì, assolutamente. Mi sento vicino in realtà (ci sto pensando adesso, legandolo anche al discorso che facevamo rispeto all’etichetta musicale) a progetti che magari per questioni di sonorità non si acocosterebbero di primo acchitto però asscolto la scena italiana e penso che tutt’ora ci siano delle proposte meravigliose e sorprendenti. In qualche modo alcune di queste proproste hanno avuto una risposta dal pubblico ottima e penso in generale a quel che sta succendendo con Tanca Records, che ha prodotto poche cose ma che sono state recepite bene, è materiale che im incoraggia perché dimostra come ci sia spazio e come il pubblico abbia orecchio anche per cose meno immediate. Credo ci sia un sacco di cose bellissime che succedono in questo paese! Non so se tu voglia dei nomi…

Perché no! C’è qualcosa che ti ha stupito?


Vipera – Anime

Certamente: il disco di Vipera (che è uscito a dicembre scorso) ma anche il suo ep precedente sono bellissimi. Ancora troppo poco riconosciuto direi ma mi è piaciuto bellissimo, si chiama Acerbo e divorato ed è un disco bellissimo.

Non la conosco, però vedo che i musicisti che ci suonano sono molto vicini ai miei gusti, Marco Giudici, Giulio Stermieri…

L’ho vista ad inizio anno a Bologna e con lei alla batteria c’era Clara che suona come claos calm ed anche lei quest’anno ha fatto uscire un bellissimo disco, è quella che si chiama una bella balotta insomma! C’è anche tutta una scena molto diy a Riccione, un’etichetta che si chiama Circa Diana che ha fatto uscire cose bellissime e che nella regione sta cominciando ad avere un seguito, nel tempo sono diventati anche amici e sono bravissimi. Il progetto si chiama Vulva Deleiva, prima era soltanto Leonardo Rosi, che ne è il fondatore e suonava come Lennard Rubra e che da solo in camera ha fatto un sacco di dischi uno più bello dell’altro. Poi c’è Tristramche l’anno scorso ha fatto un disco bellissimo, una balotta che mi piace tantissimo!

Ho sentito una certa risonanza su di te quando sei andato a suonare al Mi Ami che, dopo anni, sembra ancora essere un posto in grado, in Italia, di consacrare in qualche modo qualcuno che ci arriva (pensa anche ad Ele A l’anno scorso). Quando un nome emergente arriva al Mi Ami e funziona mi sembra che ci sia una sorta di successo in qualche modo…tu come hai vissuto la chance di un palco del genere da esordiente e senza album in mano?

Sì, era uscito un singolo la settimana prima! No, vabbé, quello è stato un privilegio infinito, non penso ci siano modi migliori di esordire dal vivo. È stato bello anche perché era la prima data e sotto ad un certo punto di vista sceso dal palco avevo tutta una serie di osservazioni oggettive su come fosse andato il concerto anche per potersi sempre migliorare però come contesto per la prima data non penso potesse esserci modo migliore di iniziare e nello stesso giorno suonava molta gente interessante.

Sicuramente una bella spinta! Lì ti sei esibito in solo o con una band? Come ti presenti dal vivo di norma?

Per ora abbiamo fatto tre date e con me ci sono sempre stati Simone d’Avenia che suona il basso ed il synth e Francesco Bonora alla batteria che è il batterista dei Leatherette, un altro gruppo che devo dire spinge parecchio.

Io ho sentio All’Apice, ho visto del Mi Ami e ti ho un po’ ignorato in attesa del disco perché mi sembravi musicista più da lavoro lungo che da singolo…

SÌ beh, in realtà sì, va bene i singoli ma il disco in sé ha più…non vorrei dire abbia più senso ma non è un disco da singoli, è più una cosa d’insieme ed io ho sempre ragionato per dischi. Anche se è il primo è difficile che in testa mi venga una canzone quanto più la visione di un lavoro completo…

Ma al giorno d’oggi, nella musica italiana 2024 è ancora periodo di dischi e di album? Come credi possa fruire un pubblico un album intero? Siamo nell’era delle playlist oppure c’è spazio ancor per questo tipo di lavori?

Immagino che le visioni siano vere entrambe. Per quel che riguarda il mercato (per quanto possa saperne io che sono un vero neofita del music-biz, a quanto ho capito è molto più conveniente far uscire singoli ma secondo me sono tutti discorsi che si possono fare ma mi sembrano slegato dai miei ragionamenti, quale sia il formato migliore e cose del genere. Credo si possano fare ancora dischi molto lunghi nonostante la gente riceva un sacco di input slegato fra loro perché credo ci sia un pubblico e chi sente l’urgenza (parola che non mi piace molto), chi vuole fare dischi perché ha quella visione è giusto li faccia e secondo me tendenzialmente esce fuori qualcosa che è sensata nel suo insieme ed a quel punto non ci si chiede nemmeno più se il formato sia attinante, sarà un discorso naif ma quando qualcuno vuole fare la propria arte il formato lo segue in qualche modo. Poi probabilmente a livello commerciale sarebbe più utile fare i singoli ma in realtà credo siano in pochi a fare numeri per poter dire sia meglio far uscire sei singoli che un disco da sei canzoni. Dagli streaming si guadagna comunque poco!

Mi immagino però, non so, un progetto che azzecchi un paio di singoli e questi funzionino, sarebbero meno intrigati dalla lavorazione di un album e lo sentirebbero meno impellente rispetto ad un musicista che parta con un progetto legato ad un mondo sonoro più definito come disco. Io sono legato al formato album ma mi accorgo che spesso non è così per i musicisti ed in effetti magari anche questo, così come il fruire e l’attenzione verso la musica sta ancora cambiando…il tuo disco quanto dura?

Sicuro, sicuro! Penso 36 minuti, un disco breve…`

Beh, non è scontato avere 36 minuti di attenzione comunque! Ed è un disco scorrevole che si ascolta volentieri di filato ma richiede dell’attenzione e trovo una buona cosa il fatto che ti trattenga lì.

Grazie, grazie mille…anche questo è un altro discorso (sono discorsi molto complessi secondo me!) ma anche quello di fare, al di là del singolo o di un album di diversa durata, quello è più il fulcro: fare brani e canzoni che richiedano attenzione oppure no, perchè si possono fare anche singoli estremamente complessi. Lì io, come ti dicevo prima nel mio piccolo (non avendo un pubblico, o non ancora non posso preoccuparmene), non è vero che la gente non è più capace di prestare attenzione alla musica, c’è semplicemente molta proposta e forse ci si è un po’ impigriti sulle varie piattaforme eccetera. Però se penso anche a Daniela Pes, che suona una musica estremamente complessa e stratificata, non appena la gente capisce che ne vale la pena in realtâ poi un pubblico lo si trova, c’è potenzialmente sempre.

Concordo, mi è capitato un paio di settimane fa con il nuovo singolo di Vieri Cervelli Montel, riprendendo Ad Iosa (No Potho Reposare), un canto tradizionale di un secolo fa, per un signolo di dieci minuti a tutti i fatti tradizionale. Bellissimo ma ti costringe all’ascolto.

Beh, se poi parliamo di gusti personali queste sono proprio le cose che mi attirano di più, io sono per un ascolto attivo della musica e mi piace di più. Sul discorso generale è più una presa di posizione in un certo senso anche politica perchè fare musica complessa che quindi, se vogliamo un tanto al chilo, contromercato e controproducente è una scelta che sotto un certo punto di vista può essere considerata politica.

Concordo assolutamente anche perchê ho sempre considerato la musica una forma d’arte come tutte le altre forme d’arte e come esse necessità della medesima attenzione. Come mi leggo un libro per mezz’ora al giorno così ascoltando un disco mi ci dedico senza fare altro. Sarebbe bello ofruirne non solo come accompagnamento ed intrattenimento ma dandogli un ascolto attivo ed attento, cosa non scontata.

Però anche lì poi c’è un po’ questa cosa che qualche tipo di successo di pubblico o finanziario conferisca validità a qualcosa. Con l’uscita di un singolo di dieci minuti tu stai comunque prendendo posizione ed il “successo”….

…E forse puoi farti forza di questo e richiederti una soglia di attenzione. Prima citavi Daniela Pes, lei ha avuto un bel risalto mediatico col suo disco, il fatto che l’abbia avuto con un disco di qualità è splendido perchè puoi andare ad intrigare un pubblico generalista che senza questi ganci non avrebbe mai ascoltato nulla del genere. Per me è sempre una buona cosa questo tipo di successo!

Sì, sono d’accordo!

Tu sei al primo disco, sei italiano e canti in italiano. Che tipo di strategia territoriale hai? Credi di essere masticabile anche all’estero?

Mah…non mi sono posto il problema per una certa tendenza ad essere coi piedi per terra, già non ê facile arrivare in un mercato piuttosto contenuto come quello italiano e cantando in italiano un po’ si mette da parte questa possibilità. In realtà per come il disco è fatto e per l’apertura nella quale sono andati in classifica canzoni più disparate con numeri assurdi ed in lingue non angolofone anche canzoni in italiano potrebbero funzionare. La voce quando c’è vuole farsi ascoltare ma c’è anche molto respiro, come dicevi anche tu, in qualche modo internazionale e forte, per cui si può fare secondo me.

Trovo anch’io, anche perchê il cantato è musicale ed ascoltandolo senza comprenderlo musicalmente funziona proprio come unione di musica e parole e potrebbe funzionare…

Sicuramente sarebbe bello, vedremo!

Facciamo un’ipotesi, il disco va benissimo, tu hai un successo incredibile ed a settembre 2025 puoi entrare in studio scegliendo un produttore con un budget importante a disposizione. Chi sceglie, perché e cosa vorresti sperimentare?

Non lo so, c’ê già una grande quantitâ di musica per il futuro, le idee non mi mancano ma non so come verrà registrato il prossimo disco anche se so già cosa voglio registrare. A questo giro le canzoni sono e saranno già scritte e le registrerò. Non so se lo farò da solo perchê ho già delle idee molto precise. Forse per ora, per come credo realizzerei le prossime cose, piuttosto che investirle su un grande produttore col quale rimanere due settimane in uno studio, le investirei per restare più a lungo in studio sperimentando lì, come potrei fare in camera mia ma in studio sarebbe realmente un altro mondo, l’avere un ambiente stimolante nel quale provare e trovare nuove soluzioni.

Il sentore di questo disco è che possa essere in qualche modo un disco terapeutico, che faccia funzionare e lavori con corpo, testa ed anima di chi acolta e, presumo, di chi l’ha registrata. Facendolo questo disco ti ê stato terapeutico? Credi che la musica possa essere foriera di avanzamento personale, cambiamento e guarigione?

Credo che pi?u che per la musica in se mi ha cambiato per la questione che sono finalmente riuscito a produrre qualcosa di cui sono contento ed è proprio il fatto di esserci riuscito che mi ha giovato. È cuiroso che tu me lo chieda perchê ci stavo pensando quest’estate alla questione musica e terapia per chi scrive, perché tutta la musica che non ê mai uscita ma che ho scritto negli anni questa cosa non l’ho mai sentita. Se qualcun altro me lo dicesse ci crederei ma personalmente questa cosa non mi è successo. Poi magari è vero e chissa, la realtà è che ancora non so niente. Sono riuscito ad uscire da camera mia, registrare in un altro ambiente. In un azzo e mezzo di scrittura sono cambiato ma non credo sia dovuto al disco: però una cosa che posso dirti è che il disco tratta di temi precisi e ciò nonostante non c’era una linea definita, ho capito solo dopo aver inciso metà disco che stavo dicendo qualcosa. Non dicevo parole a caso ma le parole che mi sono uscite per più di metà disco mi hanno portato a dire: “Ehi, sto parlando di questa cosa qua!”. Forse non è stato un processo terapeutico ma spontaneo e forse possiamo accostarci la terapia nel senso che ê stato un lavoro venuto da dentro e non programmato.

Come primo passo il fatto di uscira dalla propria stanza, guardarsi dall’esterno e capire di essere instradato in una direzione, in questo senso è comunque cosa significativa. Ho trovato il disco molto coeso come forma, un lavoro immersivo, nel quale inizi a navigare tra le diverse sensazioni e questo mi ha colpito molto. Ti faccio ancora i miei complimenti e ti ringrazio, credo proprio di averti chiesto tutto. Vupi aggiungere qualcosa? Hai indicazioni per l’ascolto o vuoi lasciare la libertà a Mappa di ogni corpo di farsi ascoltare liberamente?

Ci penso un attimo…no sai? Penso di no. Forse l’unica cosa che potrei dire è quella di prestare attenzione, cosa molto pretenziosa da fare. Ce lo siamo giâ detti ma credo che già dalle prime note si capisca che si può ascoltare come sottofondo od attentamente ma credo si capisca che è un disco che può richiedere dell’attenzione, anche se io non a pretendo.

Spero che la riceva, gran bel disco, grazie mille Tancredi!

Grazie mille a voi, a presto!