True Widow – True Widow (End Sounds, 2008)

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Widow. Vedova. Una parola forte. Una parola che richiama ai nostri occhi un’immagine precisa. C’è chi la vede una donna ormai cadente immersa nei ricordi, chi una disperata casalinga in cerca di un porto, chi una nera femme fatale disegnata in rimmel nero e seta rosso rubino. Diverse fonti d’immaginazione. Ma una parola forte. Dentro tiene il suono della sconfitta e le trombe della rivincita, ha un po’ gli occhi di chi ha visto vicina la morte e un po’ quelli di chi invece era troppo lontano per fare qualcosa, lo stomaco infangato di un dolore che in fondo in fondo non è il suo. Se non per interposta persona. Vedova è una condizione dell’ombra, di cui poco si può capire. True Widow investe in pieno il senso di vicolo cieco con uno shoegaze più vicino allo slowcore che ad altro. Le atmosfere sono presto fatte, le esplosioni delle chitarre sempre molto cupe accompagnano lunghi momenti di stagnazione, dove batteria e basso tendono a non disturbare l’equilibrio fragile della linea melodica. True Widow dovrebbe anche essere un progetto a lungo raggio: Dan Phillips, dagli Slowride, guida il trio nel dipanarsi di una strada che a tratti appare davvero coinvolgente, in particolare nel finale in crescendo delle ultime tracce. Certo il solito rischio di composizioni del genere è di farti arrivare alla fine un po’ spompato. Ora io ero armato di buona volontà e pazienza, altrimenti forse il crescendo finale non l’avrei esattamente gustato. Il problema fondamentale è il solito dello shoegaze nella sua versione più lo-fi, cioè quello di costruire atmosfere a ripetizione che alla fine si assomigliano un po’ tutti. E la prevedibilità è sempre un difetto di fabbrica, duro da togliere e che finisce per spalmarsi su l’intero lavoro. Al basso c’è Nicole Estill e la sua esperienza con i Man Before Mars avrebbe forse potuto regalare una maggiore incisività garage punk. Chissà cosa sarebbe potuto succedere.