The Space Lady – live @ Fanfulla 5a Rome, 26th April 2018 (Bubca, 2022)

Susan Dietrich Scheider, anche conosciuta come the Space Lady, ha una voce splendida. Nella sua chiacchierata prima dell’avvio del set, introducendo un brano degli Electric Prunes e ringraziando per l’accoglienza ed il buon servizio il popolo romano, già ti fa innamorare di lei.
Poi parte, tastierina, voce, ritmo calibrato ed atmosfera sognante, di chi arriva da un’altra epoca e ti introduce ad un mondo fantastico ed alieno, come una Christa Pfanngen aka Nico abbracciata ad un Atari, od una Elisabeth Esselink aka Solex tornata indietro nel tempo grazie a Marlin ed a Zapotec.
Una mezz’ora scarsa di set, registrata quattro anni fa al Fanfulla, con una settantenne alla quale non possiamo dire nulla se non dimostrarle la nostra sorprendente stima. Fiera partecipante all’ormai storica compilation Songs in the Key of Z è autrice di 7 album se le informazioni in mio possesso non mi ingannano, tutti pubblicati dopo il 2013. È trasognata, serena, evidentemente di un’altra atmosfera, la immaginiamo ballare mandando baci immaginari ai suoi fratelli Pentangle ed Incredibile String Band, oppure ai nipoti Mr Quintron, Flossie & the Unicorns, magari con un pensiero a Moondog. È evidentemente una fata venuta sul nostro pianeta per renderci coscienti della possibilità di bellezza e spirito. Oltrepassato il fottuto senso comune infatti non si può che abbracciare con affetto e gioia una simile espressività e gioco. Se n’è giustamente accorto Luca Tanzini che, armato di registratore e, voglio ben sperare, cappellino e pantaloncini corti, come un bambino si è immerso in queste atmosfere succhiandone il nettare sonoro come un’aper da un fiore. Intanto Susan narra di mirabolanti avventure mentre onde sonore come raggi laser rosa vengono espressi dai suoi marchingegni, in un’atmosfera da sci-fi movies avvolge la sala. Quando, iniziato il lato B, le note di Starman di David Bowie si spargono per il nastro in una sorta di rallentatore ad effetto, con il pubblico che viene stimolato a cantare, ci rendiamo conto di non essere più ad un concerto ma ad un insieme di esseri che, grazie alla giusta mistura di grappa casalinga, amaro al caffè e birra artigianale di dubbia provenienza sta finalmente cercando di far levitare un pianeta ormai snaturato, privo di quell’amora che dovrebbe portarci semplicemente a piangere durante certe esibizioni. Nei momenti più folk la luce nella sua voce è qualcosa di inquietante, si riescono a sentire i colpi del vento e le onde  che la accompagnano. Che altro dire? Cercate i suoi dischi ovunque, spargete il verbo, musica da lacrime.