The Irrepressibles – Yo Homo! (Of Naked Design, 2024)

Ha una calda e roca impostazione soul il ritorno di Jamie McDermott a nome The Irrepressibles. Con arrangiamenti che ne mettono in risalto i fuochi espressivi (come nella toccante So!) costruisce sul pathos la sua poetica. Nelle intenzioni esplicite di Jamie è un disco indie-rock che possa fungere come porto sicuro per la comunità queer e non allineata, ma è prematuro capire ora se questo avverrà. Di certo quel che si può percepire dai primi ascolti è la capacità di The Irrepressibles di osare alternando tasti che ampliano la sua tavolozza, fino a raggiungere orchestrazioni rock importanti e vertici acidi e desertici. Vengono in mente esperienze molto differenti fra loro come the Ultrasound e Bleedingbackwood, ma anche momenti non troppo lontani da certi Rolling Stones come Be Wild!. Un bel calderone tenuto a misura da una personalità molto forte e conscia, che perdere la rotta (soprattutto in un disco che passa i 50 minuti di durata) può essere molto facile. Ed invece tutto sembra appuntito ed a fuoco, come il ricordo di una serata entusiasmante, che pare essersi tatuata nella nostra corteccia cerebrale. Sornione e toccante in una Two Hearts che porta Elton John fra le nuvole, mentre con la title track piazza una banger hit che viaggia fra LCD Soundsystem e Josh Homme in un crash formidabile.
La voce di Jamie è molto caratteristica ma non c’è nulla di forzato in questo disco, che suona come reale necessità espressiva sul canone di una voce e chitarra che paiono sotto essere stati soggetti ad una una dieta forzata di stereoidi e di lustrini, diventando grandi e luminose. A volte il gonfiore è esasperato, come in una In The Rhythm tirata troppo per le lunghe, a volte semplicemente perfetto. Forse la forza di The Irrepressibles è la sua stessa debolezza ed è difficile far presa su un ascoltatore trasmettendo umori ed emozioni con una centralità così spiccata. Non sembra avere il tormento di un Jamie Stewart ma una muscolarità che a tratti si trova ad essere fine a se stessa. Meglio quando sceglie le vie più sinuose, come i battiti proto-reggae di Destination, ma soprattutto quando non trascina oltre il minutaggio consentito i brani, che in equilibrio si esaltano come sculturee opere guizzanti, da mantenere accuratamente limandone pesi e giunture per evitare il crollo. Quando ci riesce rimaniamo toccati da grazia e profondità, ed è un bellissimo ascoltare.