The Haarp Machine – Disclosure (Sumerian, 2012)

Una doverosa premessa: non sono assolutamente un esperto di technical death metal, o di progressive metal, quindi non ho masticato proprio pane per i miei denti durante l’ascolto di Disclosure degli Haarp Machine, che invece bazzicano proprio quei lidi. Mi perdonerete, quindi, se non mi dliungherò nel citare influenze o gruppi di riferimento, rimanendo più distaccato nell’analizzare il disco, poco più di mezzora, che esce per Sumerian. La copertina agghiacciante e kitsch va di pari passo con la musica: una sorta di death metal (per la voce, in grande parte gutturale) tecnico e ostentato, con risacche progressive, soprattutto nella scelta del gruppo di inserire parti più rilassate e variegate in un tessuto iperdinamico e aggressivo. Una scelta che se da un lato permette di smorzare il forte assalto cieco della musica, con dei momenti di interludio decisamente più leggeri, dall’altro ci pone di fronte all’eterno quesito: una band che mette tra gli ingredienti cento cose diverse, alcune in palese contrasto tra di loro, è una pioneristica sperimentatrice, oppure una forzata macedonia che appare indigesta ancora prima di arrivare nella nostra bocca? Un sospetto, il secondo, che può sovvenire più di una volta: l’alternanza tra growl, screaming e voce pulita, le chitarre e i ritmi intricati intervallati da eteree melodie, sprazzi mediorientali e strumentazioni più leggere (tastiere, sitar, koto) creano un Moloch arruffatto e pretenzioso. Tuttavia il mestiere c’è e se siete fanatici dei tecnicismi e delle “sbrodolate” in tema “hard and heavy” potrete gustarne a profusione. Paragonata alla pletora di band che negli ultimi anni hanno visto affibbiarsi l’etichetta di deathcore la band inglese dice anche la sua: il mastermind Abdullah Al Mu’min non si accontenta di assomigliare a tanti altri gruppi e fa della sua ambizione la molla per infilare un mondo intero dentro il disco, mescolato allo sfinimento, col rischio, come detto, di nauseare più che attrarre. Se amate il genere accomadetevi pure in platea, io torno ad ascoltarmi del garage-punk.

nota: brano in streaming non contenuto nel disco recensito