The Bitter Tears – Jam Tarts In The Jakehouse (Carrot Top, 2009)

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Chicago, si sa, è considerata da almeno vent'anni a questa parte come una vera e propria Mecca di un certo tipo di sound a metà tra le elucubrazioni noise (vedi Shellac) e le movenze sbilenche di derivazione krauta tipicamente post-rock (leggasi Tortoise). Di recente, poi, si sono aggiunte al quadro le sfuriate atmosferiche di bands come i Pelican, che non hanno fatto altro che donare alla Windy City un'aura ancor più "sperimentale". Ma, ovviamente, nella capitale dell'Illinois c'è anche molto altro, ed ecco giunto un motivo valido per far luce su quest'altra faccia della medaglia.

Jam Tarts In The Jakehouse è il secondo album dei Bitter Tears, misconosciuta formazione locale che va, per l'appunto, a distaccarsi completamente da quanto detto finora, in favore di melodie, talvolta desertiche, talvolta addirittura brechtiane, che più che ai Sea And Cake sembrano rifarsi ai buoni vecchi Meat Puppets di Up On The Sun o addirittura agli inarrivabili Violent Femmes degli esordi (l'iniziale Stay The Heart Of The Earth, tinta di country sbilenco, l'acustica Inbred Kings, o ancora Hamptons, sorta di crepuscolare summer song che con i suoi cori ed il crescendo in ripetizione è forse la traccia più riuscita del disco). Ma non finisce qui: si intravedono scampoli di Beulah (i fiati di Oiling Up), e frammenti melodici che non dispiaceranno ai nostalgici del cristallino power-pop di marca Big Star (The Love Letter, Starlight). Tanti ingredienti diversi per un lavoro sicuramente originale, dunque, che pesca da un pedigree musicale di tutto rispetto per offrirci quaranta minuti scarsi di ottima, scanzonata pop music made in USA.