il secondo lavoro del pugliese Massimo Gravina esce per la illustre Luce Sia che si distingue quindi non soltanto per audio cassette (ma quanto sono tornate di moda?) ma anche per veri propri dischi (digipack). Il lavoro in sè, è un viatico dark ambient lacerato saltuariamente da emulazioni elettriche che lo rendono virtuosamente più reale e non soltanto aereo. Le evocazioni comunque sono del Vangelis più sci-fi, tra il gassoso e l’allucinatorio. Un album ricco e curato fino nei dettagli più piccoli: minuscoli loops che attraversano le tracce come bachi che occhiaggiano da una mela. E l’insieme che ne scaturisce è un’opera tutto sommato rilassante benchè al contempo pericolosa: un senso di pericolo e insicurezza si propaga strisciando costantemente. I Terreni K che fanno da tutore al progetto crediamo siano quelli dello Zeder (1983) di Pupi Avati, dove per l’appunto erano così chiamati i luoghi in grado di riportare in vita i morti. Allegri ragazzi!
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