Teletextile – Glass (Lili Is Pi, 2011)

textile

Uh. Indie pop un pò elettronico con una gran bella voce femminile oltre a Psapp? Benvenga, porca la miseria!
Come il vetro, a cui è intitolato l'album – Glass -, la musica del trio newyorkese a cui fa capo Pamela Martinez, l'anima e il cuore del progetto, è trasparente. Nel senso che in modo diretto e senza troppi preamboli arriva al punto questa ragazza originaria del Texas ed ora operante a Detroit, che interpreta testi ispirati a quel grand'uomo di Robert Frost e li musica con arpa (sì. Arpa. E vedere sul web come la suona è uno spettacolo), violino, chitarra e tastiere e che sa rendermi emozioni suscitate a suo tempo solo da Tori Amos (che il Signore la protegga sempre!) – I Don't know How To Act Here, The Lark -, la Bjork di HomogenicAmpm Two, di cui segnalo un bel videoclip in passo uno – o dai certi singoli sfornati da Kate Bush che positivamente hanno segnato la mia infanzia.
In questo che è il secondo lavoro della band, i Teletextile surfilano (surfilare è cucire lasciando il filo morbido… rende bene il paragone anche in ragione del nome del progetto, no?) la voce leggera, ma decisa di Pamela a canzoni ben costruite e stilisticamente perfette – Gesso – : ascoltando i pezzi e volendoli sezionare, ci si accorge che ogni arrangiamento è esattamente dove dovrebbe essere, chorus e bridge, aumenti di ritmo e parti lente quando le orecchie se lo aspettano. Ciononostante i Teletextile sanno stupire piacevolmente con campanelli, back voices e virate vocali particolari rispetto alla melodia principale – What If I, Heartquake -. Forse mi viene in mente Sufjan Stevens. Forse Pamela Martinez è un'ottima esponente del cantautorato americano contemporaneo. Per me sicuro.