Tancredi Bin – Mappa di ogni corpo (Oyez/Peermusic, 2024)

Di Tancredi Bin avevo parecchio apprezzato il singolo All’apice, segnandomi nel taccuino mentale il suo nome in vista del suo esordio lungo. Che puntualmente arriva per Oyez!, etichetta bresciana che da qualche anno si sta muovendo su un suono che mischia urban più o meno storta (Vergo e Matilde fra gli artisti a roster per fare un esempio). Mappa di ogni corpo però è un’altra cosa, Mappa di ogni corpo parte da un corpo che è quello di Lucio Battisti, espandendone le molecole. Ne stira idee, ambienti e simboli in un suono che spesso di attenua e si dilata in una luce chiara. Scritto e prodotto insieme a Simone D’Avenia (che avevamo parecchio apprezzato per il suo lavoro con Bluem) ci mostra un’artista si mette alla prova con una sorta di musica popolare, richiamante la tradizione folk e la psichedelia, la campagna e la luce. I titoli di questa mappa ci dicono molto di Tancredi Bin: c’è il corpo, l’atmosfera e l’ambiente, buchi neri ed oro, mute e rivelazioni, ad assecondare non un progetto finito ma l’invito a seguire un travaglio, un percorso in iter ed una fase. Non possiamo sapere come questa evolverà ma di certo rimaniamo colpiti dall’apertura e dal carisma di Tancredi, che ci invita in un cantiere aperto ed in continua evoluzione com’è la carriera di un’artista e com’è lo stesso corpo umano.
Dell’impressione abbiamo detto, ma citando Lucio Battisti non vorremmo ridurre personalità ed originalità in oggetto, semplicemente dare un parametro chiaro, tanto che i fans di Acqua Azzurra Acqua Chiara probabilmente se ne andrebbero dopo un minuto e mezzo della litania Sul Letto Il Piano Astrale. C’è però il piacere della scoperta e della ricerca che si può fare all’interno della musica leggera italiana, ambito che è ancora malleabile per molti versi. Tancredi Bin non si tira indietro, si sporca le mani diventando ostetrico e demiurgo in una Muta che rivela colori e luci nuove.
È musica psichedelica quella di Tancredi Bin, perché non si cura dei confini ed allunga le canzoni, presentandole come veli che cambiano forma e colore a seconda della luce che va a colpirli. Tancredi stesso parla di un anima come corpo stesso, lasciando che il pensiero venga dopo: così è all’ascolto, rimanendo come investiti da una forma leggera alla quale si potrebbe tentare di dare ordine e struttura. Del resto poi lo esplicita anche in un brano, titolato addirittura Il pensiero come scoria (“..è così facile capire quanto sia futile il pensiero…”) e lasciandosi andare In Profonda Contemplazione, gli strumenti che parlano blandamente guidandoci, inermi passeggeri. C’è una sorta di ruralità magica e solare che tutto fa risplendere, Tutto in oro, che studieremo molto volentieri nel tempo a venire.