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Plunkett – 14 Days (Autoprodotto, 2006)

Lascia perdere le tue “10 ragazze per me”. Piuttosto, 14 giorni ti posson bastare? Ne mancano proprio 14 alla fine di questo 2006, eppure ascoltando i Plunkett sembra d’essere nel 1970 perché loro ti ricorderanno Jethro Tull, e non intendo certo l’agronomo inglese del XVIII. Anche se lui, Ian, il componente maschile di questa band a due, inglese lo è. Poi non lo so se fa anche l’agronomo, ma certo è un uomo fortunato (uau! come sono melensa sotto natale), perché ha trovato un’anima gemella che con lui compone, scrive, suona, canta, produce e fa l'editing.

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Pajo – 1968 (Drag City /Wide, 2006)

Ci sono nomi che spesso compaiono qua e là, quasi per caso e in sordina, poi, facendo un rapido bilancio scopri che questi nomi li ritrovi accreditati in alcuni tra i dischi che più hanno segnato i tuoi ascolti: uno di questi nomi è sicuramente David Pajo, chitarrista eclettico di Lousville presente in gruppi fondamentali quali Slint e Tortoise e, in seguito amico, di Will Oldham con il quale ha scritto qualche manciata di canzoni memorabili. Pur suonando in gruppi così diversi fra loro, negli anni lo stile chitarristico di Pajo è diventato unico e riconoscibile.

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Barzin – My Life In Rooms (Weewerk/Monotreme, 2006)

Dall'iniziale, perfetta, Let's Go Driving sembra arrivato il momento di fare i conti con uno dei dischi del 2006. Poi – sarà l'andamento flemmatico ai limiti dell'indolenza dei brani successivi o sarà il caldo che rende ogni cosa insopportabile – tutto sembra ridimensionarsi sui binari dell'ordinaria amministrazione per chi ha masticato da anni produzioni di gente come Red House Painters (io purtroppo possiedo solo un album originale dei R.H.P. e nemmeno dei più belli) o Spain.

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