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Chris Brokaw – Gambler’s Ecstasy (Damnably, 2012)

Come accennato qualche recensione fa a proposito di Geoff Farina e altre vecchie glorie, la Damnably, in Europa, sta diventando una sorta di parco naturale, una riserva protetta dove nomi più o meno grossi e pionieri del passato del rock indipendente americano (inteso più come genere che come collocazione geografica) a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo, possano oggi trovare la giusta tranquillità per continuare a fare quello che loro riesce meglio, senza cadenze temporali precise e senza nessuna pretesa di reinventare qualcosa, rispetto magari ad altri progetti di più ampio richiamo a cui comunque gli stessi partecipano o continuano a partecipare.

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Ronin – Fenice (Audioglobe/Tannen, 2012)

Riprende la saga dei Ronin, senza un cambio vero e proprio, ma con un lavorio incessante verso uno stile che teme pochi rivali, specie dopo l’acclamatissimo Lemming. Una sorta di album di Matt Elliott, quello, senza che Matt Elliott canti mai (nemmeno Il Galeone). Il progetto di Bruno Dorella affronta, fiero e romantico, la nuova sfida con un cambio di line up, l’ingresso alla batteria di Paolo Mongardi ( Zeus!), e la consueta giostra di ospitate (fra cui: Enrico Gabrielli dei Calibro 35, Nicola Manzan e lo stesso padre di Bruno, Umberto Dorella, all’organetto nell’unico brano cantato, It Was A Very Good Year). Si apprezzano le stilettate di brani strumentali, in ammollo ben bene dentro Morricone e la cultura mediterranea (Jambiya), che trascendono il semplice post rock/slowcore finendo col creare quell’atmosfera unica, quasi vintage, che ben conoscete se avete già ascoltato un disco dei Ronin.

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