St.Ride – Volume 2 (Niente, 2009)

Ritornano gli St.Ride con il "solito" ottimo disco… e me l'hanno dovuto dire che il cd era il loro, visto che dai cdr della Niente records non si capisce praticamente nulla e ok l' "arte", ok la provocazione, ok che se tutti i cd fossero bianchi e senza scritte un casino di giornalisti andrebbero in paranoia nel rischio di parlare male delle persone sbagliate, ok il d.i.y. con cui chiunque prende in mano il proprio destino (ma de, che ma dove!?), tutto quello che volete… ma l'unica cosa che mi ha fatto venire in mente la grafica di questo cd è che se lo specchio fosse stato vero l'avrei potuto passare a qualche vecchio amico che fa uso di "bianca signora".
Superato il disagio visuale c'è il disagio sonoro, ma quello è un piacere, infatti ci consegna una nuova evoluzione degli St.Ride in cui Maurizio Gusmerini ed Edo Grandi come sempre snocciolano tracce molto particolari e produzione ineccepibile. I suoni ottimi in un disco spesso aiutano, ma non bastano a farne un buon lavoro, il fatto è che i due genovesi sono partiti come duo quasi elettronico-sperimentale su Snowdonia, da una frammentazione stile Starfuckers si sono spostati a cose più morbide con Piume Che Cadono dove talvolta sembrano dei Mouse on Mars senza forma canzone in crisi epilettica (praticamente un capolavoro di frattaglie appena accennate fra idm-melodia-canzo…ancor oggi splendido), sono diventati più cerebrali e a loro modo elettroacustici nella fase su Setola di Maiale, ma a quanto pare stanno attraversando una nuova fase. "In tempi duri i duri incominciano a giocare", Grandi e Gusmerini non avendo mai smesso di giocare non hanno fatto altro se non indurirsi, con il primo risultato non così ovvio di aver prodotto un disco che fotografa degli St.ride noiseggianti e quasi industrial. A quanto pare hanno introdotto la chitarra e Grandi non ha fatto economia di saturazioni/distorsioni, nonostante ciò è tutto calibrato come sempre, ritroverete i loro caratteristici frammenti vocali, i soliti loop sghembi tagliati a colpi di mannaia, però compaiono più suoni che ricordano vagamente lamiere, filtri, rumore bianco di varia natura, tappeti e ripetizioni che vista la loro discografia precedente sono praticamente una novità. Se i liguri dei primi due album erano quasi melodici e persino memorizzabili (Piume che cadono), con questo nuovo disco sono ripiombati irrimediabilmente nel grigio. Cupo, epilettico, ruvido e vagamente ossessivo, gran bel disco.