Stefano Pilia: il suono come architettura mistica, tra ricerca, contemplazione e un percorso sonoro in perpetuo mutamento

Picture by Matilde Piazzi

Ciao Stefano, grazie per la disponibilità.

Vorrei iniziare chiedendoti: qual è il tuo primo ricordo musicale? C’è stato un momento di epifania in cui hai capito che la musica sarebbe stata il tuo percorso?

Il primo ricordo strettamente musicale credo arrivi da mio nonno materno Alfredo, il quale era molto appassionato di opera lirica e cantava nella corale del paese. Ho qualche nebulosa ed affettuosa memoria di lui che accenna ad un’ aria famosa o che si entusiasma perché alla radio stanno passando qualche passaggio di un’ opera a lui particolarmente cara mentre lavora in bottega. Personalmente amavo molto più il suono dei suoi attrezzi meccanici per tagliare e lavorare il legno più che l’opera lirica. Da piccolo poi avevo questa sensazione che fare il cantante o il musicista fossero attività davvero poco desiderabili e noiose rispetto al guidare un motore, girare in bici o qualche altra possibile avventura. Credo fosse anche dovuto al fatto che molta della tv e della radio degli anni in cui sono cresciuto -gli anni 80- erano davvero invase da un pop “a fumi e raggi laser” piuttosto stupido e noioso. A tal riguardo ho sviluppato una forma allergica che ancora persiste. Battiato mi salvava allora e mi salva adesso. Verso gli inizi dell’ adolescenza ho scoperto il punk ed il rock grazie a qualche amico che mi passò la cassetta “giusta”. E da lì tutto è cambiato: d’un tratto il fare più irrinunciabile ed ossessivo era ascoltare musica e suonare il basso.

Da dove nascono le tue composizioni? Qual è lo stimolo iniziale? Pur essendo lavori sempre diversi, mi sembra abbiano punti in comune fin dall’inizio della tua carriera: potremmo parlare di una tua prassi compositiva?

In tutta onestà non so davvero. Credo che semplicemente, come per molte attività o pratiche, si inizi un passo alla volta, nel procedere si crea una tensione che mano a mano si autoalimenta e indica la via. La persistenza e la disciplina in una pratica sono la chiave. Poi però c’è anche una convergenza di aspetti, una sincronicità ma anche atemporalità di eventi nella vita che individuano un orizzonte di senso e di direzione: “muse”, epifanie, domande, ascolti, incontri, sogni e desideri che muovono o accendono delle cose e ne escludono altre. è davvero misterioso, è un’ avventura a tratti mistica. Mi pare a volte che tutto il vissuto si cristallizzi nel tempo e negli anni attraverso più processi che poi convergono assieme in una poetica appunto. E’ un po’ come una pianta e le idee, come un frutto, si manifestano quando si è pronti a riceverle più come un dono che come un’ invenzione. Credo che lo stimolo iniziale sia fondamentalmente una forma di desiderio che poi però in breve si trasforma in una necessità , un’ urgenza. Nel periodo in cui ho iniziato a lavorare su Spiralis Aurea e su Lacinia era diventato per me di fondamentale importanza ed interesse la ricerca sulla forma come conseguenza di una serie di considerazioni filosofiche, e sulla necessità della forma individuata e reclamata da un principio generativo armonico e non come conseguenza di aspetti immaginativi, biografici o personali. Come una necessità etica prima che estetica. Mi piace questo pensiero che ho letto proprio recentemente nel terzo quaderno di Simone Weil:“insegnamento della geometria, non come somma di conoscenze, ma come purificazione dell‘errore prodotto dall’ immaginazione”. Voglio canalizzare una musica che sia un’ azione o una possibilità contemplativa. Seppure con le dovute differenze e i diversi riferimenti credo che in definitiva questo tipo di intenzione sia sempre stato alla base di tutti i miei dischi. Ma a differenza dei lavori precedenti qui -in Spiralis Aurea e in Lacinia- Il discorso musicale non è più generato da una relazione sensoriale con il suono. Che si trattasse del rapporto tattile e gestuale con il mio strumento, la chitarra, o più in generale alle suggestioni immaginifiche tratte dall’esperienza acustica e acusmatica poi successivamente tradotte in un processo compositivo, la musica era sempre “estratta” o “liberata” dalla materia sonora. Spesso era proprio la materia sonora stessa a indicare o a privilegiare una direzione. Sempre a posteriori potevo poi “leggervi” un meta-racconto e quindi l’opera o il brano trovavano così un loro titolo . Qui la musica è invece prima “vista” che “udita”. sempre più mi sono avvicinato al contemplare un’ idea sottraendomi dal gesto sonoro, sperando forse che questo “togliermi” un po’ più dalla musica e l’operare in questa direzione lasciassero più spazio all’ascolto e all’ascoltatore,e così la forma appunto ha reclamato tutte le sue necessità.


CRUX / Spiralis Aurea Quartet

Come nasce un’idea musicale e come si sviluppa? Parti dallo spartito, direttamente dallo strumento o pensi subito a un musicista? Questo processo cambia tra i tuoi progetti classici, rock e improvvisativi?

Dipende, senza dubbio cambia radicalmente dal contesto.

Queste ultime due opere sono prima individuate come geometrie, simboli o figure -che si potrebbero definire archetipiche- poi rappresentate da principi numerici, da qui si genera la prima bozza dell’architettura musicale che deve essere innanzi tutto notata in una partitura. La prima cosa è quindi l’individuare la relazione tra i suoni nel senso di un principio di relazione e di rapporto numerico tra essi. Questo rapporto può essere rappresentato e misurato principalmente nel parametro delle altezze, delle frequenze fondamentali e delle durate temporali. Non scrivo quasi mai pensando ad uno strumento specifico, ma talvolta per esigenze di registro o di emissione, certe classi di strumenti diventano immediatamente predilette: gli archi per i glissandi ad esempio, l’organo o il synth per un certo tipo di sostegno. Mi interessa che queste stesse partiture possano essere eseguite o interpretate poi da organici diversi e che lo stesso brano si possa potenzialmente incarnare in timbri ed interpretazioni diverse. In alcuni casi come per Cadux / plectere I, realizzato per Manuel Zurria, ho scritto pensando già al registro del flauto. Manuel aveva realizzato, per un suo lavoro del 2024 Fame di Vento, due versioni per flauto di Aurea parte I ed Aurea parte II davvero eccezionali e questo mi ha molto ispirato a scrivere direttamente qualcosa per lui. Così ho declinato, a partire da un gruppo di brani sotto denominati plectere – intrecciare, perché appunto accomunati da una tipologia specifica di intreccio tra le voci- un brano per lui. Cosi è successo per quasi tutti i brani di questa serie plectere presente in Lacinia: Sidereus per il sax di Laura Agnusdei, Maris Stella per Elisa Bognetti ai corni, Arborea per il trio d’archi dell’Ensemble Concordanze e Veris per Alessandro Trabace ai violini. Ci sono altri brani di Lacinia che non sono direttamente dedicati ad un musicista ma l’adattamento è avvenuto in modo specifico ad esempio nella collaborazione con Alice Norma Lombardi per la voce ed il testo di Eve, oppure proprio per i brani Lacinia off Axis e in Axis , avevo gia in mente sempre l’Ensemble Concordanze. Di Lacinia off Axis e di altri plectere ci sono anche dei brani arrangiati per orchestra d’archi ed eseguiti dall’orchestra del Comunale di Bologna. sono stati arrangiati sotto la guida attenta di Mattia Cipolli di Concordanze. Arrangiare per un’ orchestra richiede anche qualche conoscenza tecnica che ancora non ben padroneggio e Mattia è stato fondamentale per questa traduzione. Ma così come è successo per il riadattamento di Spiralis dal vivo anche Lacinia prevede e vedrà ulteriori possibilità di arrangiamento. Dal vivo ad esempio abbiamo iniziato a riadattarlo in trio con Giuseppe Franchellucci e Mattia, e sicuramente più avanti vedremo anche un arrangiamento per chitarre elettriche insieme al trio con Alessandra Novaga ed Adrian Utley. Alessandra , Adrian, Mattia e Giuseppe oltre che care/i amiche/i e collaboratori stretti sono state/i fondamentali per presentare questa musica dal vivo. Senza di loro non sarebbe stato possibile e sarò loro sempre estremamente grato. Sto anche studiando e praticando alcune possibilità in solo – per diversi brani è possibile – il solo mi permette di riutilizzare anche alcune modalità più elettroacustiche e il tutto prende un sapore molto particolare. E’ una musica che nel suo approccio rituale contempla però un’idea di coralità e quindi su un piano più generale è una musica che non è mai scritta per uno strumento o un musicista solo in particolare ma come una mappa rituale da riadattare e mettere in atto.


STEFANO PILIA – Lacinia Off Axis

Mi piace collaborare e chiedere a musiciste e musicisti che ammiro e stimo e con cui si è creata negli anni o in diverse occasioni una relazione creativa, di scambio e di vicinanza umana.

Scrivere in un gruppo è un altra cosa per me ed è sempre diverso perchè dipende molto dalle relazioni e dai ruoli delle persone coinvolte. Spesso è anche presente un discorso di tradizione o di stile e di approccio che già determina molte cose. Tendenzialmente in un gruppo -quando è un gruppo- si scambia molto materiale e ci si passa molto la palla anche. In quel caso comporre è anche creare il giusto terreno e spazio per far convergere il contributo di tutti al fine di agevolare l’operare collettivo ma anche della band intesa come sovra entità o come un’unità che sia più della somma delle parti diciamo. A volte una canzone -o un elemento di essa – è un pò come un’idea : appare e si manifesta così per aderenza o per partecipazione ad una serie di cose. Non ne sono certo ma se non ricordo male proprio Bob Dylan scrive nel suo the Chronicles qualcosa come “you have to know the vernacular first” cioè se hai assorbito un pò quella sorta di archetipica poetica collettiva attraverso il repertorio allora le canzoni possono manifestarsi. in generale è un processo che coinvolge anche un certo tipo di intuito istintivo e di consapevolezza del proprio ruolo. Ancora diverso è stato scrivere con i 3/4hadbeeneliminated ad esempio o per altre collaborazioni elettroacustiche. Li c’è spesso quasi un’ idea di regia cinematico-acusmatica che muove la composizione. La definizione della collana dell’etichetta metamkine “Cinéma pour l’oreille” è una sintesi perfetta per esprimere quel tipo di processo.

Come e quando hai trovato il tuo suono? Pensi di averlo raggiunto o è in continua evoluzione?

Credo che sia sempre in evoluzione e a dire il vero non so se ho trovato un “mio” suono. Non credo nemmeno mi interessi troppo trovare sempre il “mio” suono. Anzi in generale sono un pò in conflitto con l’idea che fare arte implichi una certa bulimica ed ossessiva ricerca del nuovo. Mi sembra un pò la malattia del mondo contemporaneo. O forse, nonostante tutto , sono solo ancora agli inizi di questa ricerca del “mio” suono. Mi interessa prima di tutto che quello che faccio suoni come autentico, vero, bello -categoria rispetto alla quale molto ‘900 sembra spesso avverso- , necessario. Spero talvolta di esserci almeno in parte riuscito .

Che ruolo ha l’improvvisazione nel tuo essere compositore e musicista? Quando entra e in che modo nella tua musica?

E’ un gioco, un momento di ricerca in cui mi prendo il tempo e lo spazio per eventualmente scoprire o essere sorpreso da qualcosa. Non è tanto il discorso musicale in quel caso ad interessarmi ma più la scoperta di qualcosa di inaspettato, un suono particolare o una tensione complessiva singolare ed inedita. Mi piace molto, attraverso l’improvvisazione, la ricerca di quel senso del tempo fluido quasi aritmico più vicino al ciclo di una respirare che ad un contare, o all’ idea che qualcosa possa o non possa accadere in un certo intervallo temporale, come una probabilità quantistica. Questo mi aiuta molto a vitalizzare e talvolta anche catalizzare alcuni aspetti compositivi. Se il processo di scrittura e di Spiralis Aurea e di Lacinia hanno più a che fare con un’idea di contemplazione- del logos inteso come rapporto numerico- l’improvvisazione è invece la ricerca di un “respiro” nel caos – trovare senso nell’ articolare la materia sonora in quanto tale. Dal vivo mi piace praticarle entrambe e trovo che una fortifichi l’altra. C’è poi un aspetto di rapimento performativo che riguarda e che avvicina entrambe sia l’esecuzione e l’interpretazione di un brano sia l’improvvisazione di un materiale.

La tua musica, pur nella sua essenza cristallina, può presentare qualche difficoltà per il grande pubblico. Ti poni il problema di raggiungere nuovi ascoltatori lontani dal tuo mondo? Quali potrebbero essere le vie per un incontro più ampio?

Quello che poni è certamente un tema. Credo che la musica che faccio non sia difficile. e credo che tanta musica di miei colleghi e colleghe non sia difficile o solo per letterati”. Anzi credo che arrivi piuttosto dritta e che possa essere anche molto intensa. Credo che il problema sia come offrire e curare questo tipo musica, come contestualizzarla, soprattutto come favorire le possibilità e l’attenzione per fruirla. Come alimentare la voglia di partecipare all’ascolto e di entrare in relazione. Certo molte volte non è musica per ballare o per fare festa – di cui c’è sempre bisogno si intende ma che in fondo non manca mai- ma non è musica difficile, anzi può essere molto “accogliente”. Dipende di che cosa si ha voglia poeticamente e anche politicamente. Mi pare che i luoghi e gli spazi per un certo tipo di proposta culturale, e di conseguenza anche le proposte stesse, si stiano sempre più assottigliando e osservo che in molti contesti si autoalimenti sempre più paura di rischiare ed omologazione fino quasi a toccare la banalità del male, almeno esteticamente. Non sembra in generale un tempo storico luminoso. Le vie per un incontro più ampio ci sono sempre e personalmente sono sempre aperto ad indagarle e a tentarle. Questa “disponibilità” però deve avvenire tra tutti i soggetti. Sono anche un pò stufo delle retorica presentata come necessità di cosa fare per arrivare ad un nuovo o più ampio pubblico e scaricata sulle responsabilità artistica. E’ un discorso per via del quale molte buone intenzioni finiscono per tradursi solo in una serie di brutte abitudini che declinano l’arte e la curatela come forma di imprenditoria, dipendenza dall’ hype, sciacallaggio di topics attuali, più che di processi che promuovano una ricerca profonda sul pensiero culturale e sul proprio fare arte. Una delle conseguenze terribili di questo processo e che a chi fa musica si toglie sempre di più e allo stesso tempo però si chiede sempre di più. Realizzare un disco ad esempio, un’ opera sonora ha dietro talmente tanto lavoro al quale sempre meno si presta attenzione e rispetto. A volte sembra quasi che la musica stessa o più in generale l’opera sia un aspetto quasi laterale rispetto al fatto che quello che hai realizzato deve soprattutto diventare merce da vendere – e oltretutto con una data di scadenza sempre più corta-Soprattutto si chiede o quasi si impone a chi fa musica di essere a loro volta imprenditori o imprenditrici. Tutto deve essere progettuallizzato, bando-izzato e anche brandizzato. Cioè si chiede di fare marketing e non arte. Perdona il mio sfogo, ma talvolta si delineano delle modalità avvilenti e un orizzonte davvero povero di idee. E le idee mancano perchè manca la poetica e il terreno per curarla e farla crescere. Al contrario ci sono delle figure di organizzatori, curatori ed un pubblico che ancora di più oggi ammiro e rispetto perché nonostante tutto continuano a portare avanti un discorso artistico, poetico e politico intenso, coraggioso, aperto, interessante, originale, curioso di scoprire e di mettersi in relazione ed incarnato dalla loro presenza, partecipazione e lavoro. Nel mio piccolo, io ed altri qui in città, organizziamo concerti nel mio studio -e non solo- anche come pratica collettiva per tenere viva e valorizzare si certe modalità di ascolto, di contenuti e di ricerca ma anche di socialità. Una delle cose belle di Bologna la città in cui vivo e proprio ancora la presenza di una collettività vicina e partecipe sul piano culturale, sociale e politico. in questo senso sono anche molto grato a Marco Pignatiello, all’Arci di Bologna e alla regione Emilia Romagna che hanno sostenuto economicamente la promozione di Lacinia -e come il mio tanti altri progetti ogni anno- e a Corrado Nuccini che cura la progettualità di questi aspetti sul territorio emiliano.

Hai dei riti o delle prassi quando componi o ti prepari a suonare?

Talvolta prima di iniziare un concerto mi concentro praticando un pò di canto armonico

I tuoi lavori hanno organici mutevoli e ricchi, come a creare ogni volta mondi sonori nuovi. Pensi di tornare prima o poi a un lavoro per sola chitarra o per uno strumento solo? Oppure è proprio questa costante mutevolezza a rappresentare il tuo attuale sentire?

molto probabile che accadrà di nuovo:)

Che valore ha il silenzio nella tua musica? Quanto il dialogo tra pieni e vuoti, pause e lunghe reiterazioni di suoni ti stimola e fa parte del tuo linguaggio?

E’ un aspetto. In lavori passati è stato molto importante e assai più presente rispetto ad ora. E’ un aspetto che contemplo sempre ma che non ha ancora trovato una sua rilevanza in questi ultimi due lavori.

Che rapporto ha la tua musica con lo spazio? Hai mai composto pensando a un luogo specifico in cui il suono dovrà risuonare? E quanto influenzano le tue esibizioni i luoghi in cui suoni? Ci sono spazi che ti hanno particolarmente colpito per la loro acustica o per le loro caratteristiche?

La relazione con lo spazio è sempre fondamentale, sopratutto nei concerti dal vivo è sempre un punto centrale. E’ sempre in relazione allo spazio acustico che riesco realmente a dirigere e canalizzare le informazioni attraverso il suono. per questo non amo molto il palco ma piuttosto di suonare in mezzo alla sala. Mi permette di entrare in relazione diretta con lo spazio e la sua acustica. Non ho mai scritto però pensando ad uno spazio acustico specifico. Solo in qualche rara eccezione per alcuni lavori installativi.

Che rapporto hai con il paesaggio e il paesaggio sonoro? Come influenzano il tuo modo di ascoltare e di comporre?

L’ascolto e l’osservazione del paesaggio sono pratiche importanti perché creano relazione tra noi stessi e il contesto attorno, e questo tipo di pratica aiuta ad uscire da se stessi, dal essere troppo concentrati sul proprio esprimersi e concede di entrare in un disegno più ampio. Potenziano e affinano la capacità di ascoltare. E questo è il punto più importante da cui partire,è anche il punto di incontro tra il musicista e il suo pubblico

La musica tradizionale, italiana ed europea, ma anche di altre culture come quella indiana, ha avuto un’influenza sul tuo lavoro? In che misura? Pensi che queste musiche possano ancora essere linfa per la ricerca sonora?

Certamente. Per quanto mi riguarda forse in modo non così diretto però. in Blind Sun New Century Christology ad esempio il blues è stato un punto di riferimento o di partenza da cui è iniziata una meta-narrazione.

Quali sono i tuoi compositori di riferimento? E per quanto riguarda la chitarra, ci sono chitarristi che ti hanno influenzato particolarmente?

i più vicini che mi vengono in mente J.S.Bach, Arvo Pärt, Gyorgy Ligeti, Loren Connors, John Fahey, Rafael Toral.

I tuoi ultimi lavori sono usciti per Die Schachtel, un’etichetta che amo per le sue pubblicazioni fondamentali. Ce ne sono alcune a cui ti senti particolarmente legato? Se sì, perché?

Maple Death e Die-Schachtel sicuramente. Jonathan Clancy è un caro amico di lunga data, proprio un fratello, con cui abbiamo condiviso davvero tantissime cose ormai. Bruno Stucchi e Fabio Carboni di Die-Schachtel sono sempre stati attenti e pieni di cura per il mio lavoro. Tutti e tre svolgono un lavoro davvero prezioso ed unico e sono loro molto molto grato. Su Lacinia è iniziata anche la collaborazione con SZsugar per la parte editoriale e ho una bella sensazione riguardo al loro progetto e al dialogo in particolare con Anna Leonardi ed Alessandro Brutti. Mi hanno permesso di stampare anche la partiture aspetto a cui tenevo tantissimo.

Oltre alla musica, cosa pensi influenzi il tuo lavoro? Cinema, letteratura, altro? Posso chiederti un libro, un film, una città e un’opera d’arte che ti abbiano ispirato?

Scolpire il tempo di Andrej Tarkovskji, Attesa di Dio di Simone Weil, nelle arti visive mi ispirano da sempre Gerhard Richter, Anselm Kiefer e Mark Rothko.- ho un debole per Venezia, e mi hanno molto affascinato Istanbul e San Pietroburgo. Londra mi piace sempre molto.

Che tipo di ascoltatore sei? Ti imponi di ascoltare con grande attenzione o lasci che la musica ti arrivi per vie traverse?

In questo periodo sicuramente la seconda.

Cosa stai ascoltando in questo periodo? Ci sono ascolti a cui torni sempre?

Gesualdo in una splendida interpretazione di Graindlavoix diretti da Bjorn Schmelzer. Bach senza alcun dubbio torna sempre.

Ti capita mai di riascoltare i tuoi lavori o il tuo percorso è sempre proiettato in avanti? Se lo hai fatto, che sensazione ti ha dato? Ti è servito?

Mi capita talvolta ..in genere però non arrivo mai alla fine:).

Che importanza ha per te il supporto fisico della musica? I tuoi ultimi lavori sono usciti in vinile, con una grande cura per l’estetica. Che rapporto hai con cassette, CD, vinili e musica digitale? Come decidi quale sia il supporto più adatto di volta in volta?

Non lo decido. Mi piacciono tutti i supporti. Mi piace l’idea che la musica sia registrata e conservata anche su un supporto fisico. Mi piace che la musica esista anche come una partitura da eseguire. i supporti fisici mi danno la sensazione di conferire più rilevanza simbolica e una presenza e concretezza più persistente rispetto al mare e incorporeità dei dati digitali. Ma mi piace anche il digitale,è molto pratico e utile. Mi piace ancora l’atto rituale di mettere su un disco.

Dopo circa vent’anni di carriera, ci sono cose che non rifaresti? Alla luce della tua esperienza, cosa consiglieresti a chi sta muovendo i primi passi nella musica di ricerca?

Uuu non lo so davvero. In generale di non mollare e di continuare sempre a cercare, studiare, scoprire, di cercare di lavorare anche in relazione ad altre arti e linguaggi. Mi sembra che molte volte in quegli incontri ci siano possibilità più ampie per la ricerca. Ma credo che la musica debba esistere anche sempre come pura forma di ascolto e non al servizio di altro, soprattutto di contenuti visivi e di una sovrastruttura di spettacolo diciamo. I concerti più intensi e rivelatori a cui ho assistito in vita mia sono soprattutto concerti acusmatici.

Dal tuo punto di vista, com’è cambiato il mondo della musica indipendente italiana rispetto a quando hai iniziato? Ha ancora senso parlare di musica indipendente oggi?

Di indipendente non c’è più nulla e non credo ci sia differenza tra Italia ed altri paesi, ormai siamo un mondo globale e iperconnesso dove il terreno su cui ci muoviamo appartiene a pochi ed è controllato da pochi. Anche laddove si scelga di non essere su certe piattaforme e si sta su altre, con l’idea che alcune siano forse meglio di altre, certo un pò di differenze ci sono ma il modello è sostanzialmente il medesimo. Guarda cosa sta succedendo con bandcamp, sembrava essere la giusta alternativa ma poi viene venduto e cosa succede? tutto rischia di crollare in un attimo. in un web mondo feudalizzato come si può pensare di essere realmente indipendenti? è una folle nostalgia. Ma poi tutti promuoviamo attraverso i social che comunque rispondo ad un modello economico dello stesso tipo. O stacchiamo la spina – ma a che prezzo? o si tenta di creare una comunità davvero indipendente- ma è possibile?- certamente bisogna continuare sempre ad indagare ed osservare ma è molto difficile predire una via sensata, ora ci siamo in mezzo e non sono in grado di giudicare se sia possibile tornare indietro. Forse questo tunnel va attraversato ormai fino in fondo cercando di tenere almeno acceso qualche fuoco luminoso. L’unico discorso che realmente si può sempre continuare a fare e sul fare fino in fondo musica che ci stia profondamente a cuore, e non solo per affermazione personale ma al servizio di qualcosa che si crede giusto, bello e vero.


SULLA LINGUA: Carpenter, Teatro san Leonardo, Bologna, 2024

Per chi scrivi?

Per me stesso e per chi vuole ascoltare

La tua musica nasce dalle tue ricerche e dalle influenze che ti hanno attraversato, oppure hai mai avuto la sensazione che un suono, una melodia, fossero già lì, pronti per essere rivelati?

Ci arrivo sempre attraverso un lavoro di ricerca ma quando trovo o penso che ci sia qualcosa di buono e che funzioni ho sempre la sensazione che quel suono, quel intreccio , quel principio, quella relazione tra le cose fosse già lì: mi sono solo preparato a riceverlo a canalizzarlo ..è più come un dono.

Pensi che la tua musica sia una trasfigurazione del mondo e della natura o, al contrario, una ricerca di nuove forme ed espressioni?

Più la prima credo

La definizione di “musica sperimentale” è affascinante quanto sfuggente. Pensi che la tua musica possa essere definita tale? E oggi, quale potrebbe essere una musica davvero sperimentale?

Credo di si ..la mia musica è un tentativo sempre

Sei nato a Genova, una città sospesa tra terra e mare, con un’identità forte e sfaccettata. Ti va di raccontarmi che ruolo ha avuto nella tua formazione, nelle tue esperienze e nel tuo modo di fare musica? In che modo il suo paesaggio e la sua atmosfera hanno influenzato il tuo sentire e il tuo comporre?

E’ una città di opposti e di contraddizioni anche, gli spazi stretti e l’orizzonte ampio del mare, una terra letteralmente conquistata a fatica tra le montagne ed il mare , nobile e proletaria. Ha delle forti polarità molto evidenti che creano una certa tensione drammatica ed è paesaggisticamente struggente. E’ sicuramente una terra che porto nel cuore con quel sapore di nostalgia

La quantità e la qualità dei tuoi progetti sono impressionanti e spesso procedono in parallelo. Come gestisci il tempo e la concentrazione tra palco e spartito? Qual è il tuo rapporto con lo scorrere del tempo?

Un po ‘ in modo disordinato.Il tempo mi sembra sempre troppo poco e questa cosa mi genera ansia.

Hai qualche altra grande passione o ossessione oltre alla musica? Ti va di parlarne?

Beh le arti in genere. avendo studiato fisica all’università anche filosofia e scienze. L’unica cosa che però resta ossessiva è la musica appunto perché è una pratica costante. Il canto armonico anche è qualcosa di molto presente da un paio d’anni. Fa convergere un pò la pratica musicale con quella meditativa. E’ stata una grande fortuna avere incontrato Agnese Banti che ogni settimana guida le nostre pratiche di canto armonico assieme a Valerio Maiolo, Andrea Trona e Marianna Murgia ed altre ed altri che vanno e vengono e con cui pratichiamo quasi settimanalmente ormai. quando possibile incontriamo anche il nostro maestro Roberto Laneri. Non pratico molto sport ma di tanto in tanto mi piace molto fare un giro in bici o giocare a ping pong e ho rimesso gli sci dopo 24 anni con un certa dose di brivido e paura.

Se c’è un pensiero, un’immagine o un aspetto del tuo percorso che non ha ancora trovato spazio, mi farebbe piacere ascoltarlo. E se ti va, raccontami qualcosa in più sul tuo nuovo disco in uscita o sulle prossime date dal vivo—ciò che più ti interessa condividere in questo momento.

Ho scritto troppo ! non so più cosa dire ! grazie mille Danilo

Grazie ancora per il tempo e l’attenzione. È stato un vero piacere.