Stefano Pilia-Lacinia (Die Schachtel/SZ Sugar,2025)

L’abate Lot si recò presso l’abate Giuseppe e gli disse: «Abba, mi sono fatto una piccola regola proporzionata alle mie forze: un piccolo digiuno, una piccola orazione, una piccola meditazione, un breve riposo; e mi applico come meglio posso a liberarmi dei miei pensieri. Che altro debbo fare?».
Il vecchio si levò ritto, tese le mani verso il cielo, dalle sue dita scaturirono fiamme. Disse: «Se lo vuoi, puoi divenire tutto intero come fuoco».
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Stefano Pilia desidera diventare fuoco. Nel suo lungo percorso di ricerca, non c’è mai stato un arretramento, né una mossa falsa, nonostante la sterminata discografia che spazia tra progetti solisti e collaborazioni. La sua è una ricerca che evidentemente non può fare a meno di perseguire, spingendolo a diventare sia strumento che esploratore di un cammino personale e intimo, il cui risultato, per grande fortuna di tutti noi, si riverbera nei suoi lavori.

Dal suo primo lavoro con Valerio Tricoli e i successivi progetti con il gruppo seminale e fondamentale 3/4HadBeenEliminated sempre insieme a Tricoli e Claudio Rocchetti, musicisti che continuano a portare avanti oggi una ricchissima musica di ricerca, Stefano Pilia ha intrapreso un percorso di evoluzione sonora straordinario. Il suo viaggio lo porta fino al solista Blind Sun New Century Christology del 2015, un’opera in cui Pilia avvia un confronto profondo e diretto con la tradizione, emergendo vincitore. I successivi lavori su Die Scachtel, In girum imus nocte et consumimur igni (2019) e Spiralis Aurea (2022), sono il frutto di un’incessante ricerca che si concretizza in composizioni brillanti, cariche di una luce unica e intensa. La sua musica nasce da una combinazione di abnegazione, studio rigoroso, un’innata capacità intuitiva di plasmare il suono e un talento straordinario per la creazione di architetture musicali.

Oggi possiamo immergerci nel suono di Lacinia, il nuovo ciclo di 16 composizioni di Stefano Pilia. Il progetto intraprende un viaggio mistico, in cui numeri e geometrie si intrecciano come fili invisibili, tessendo un arazzo sonoro che risuona nel profondo. Le sue architetture tonali emergono come templi di suono, evocando una dimensione trascendente che richiama antiche tradizioni liturgiche e devozionali, dove ogni nota e ogni frequenza diventano strumenti sacri, capaci di toccare il divino. La musica, sospesa tra il materiale e l’immateriale, si fa rito, una preghiera sonora che attinge alle energie più sottili e misteriose dell’universo. Lacinia si sviluppa come un’opera fluida e mutabile, concepita per una varietà di ensemble che spaziano dal duo a grandi orchestre d’archi. Ogni configurazione offre una nuova interpretazione, dando vita a una musica che non si limita a essere eseguita, ma che invita l’ascoltatore a un’esperienza profonda e meditativa.
Spiralis Aurea (il suo precedente lavoro) e Lacinia, sono due progetti che sorgono da una riflessione profonda sulla forma, vista come una necessità universale che risponde a leggi eterne prima che estetiche. La musica, concepita come un’entità visibile nell’invisibile, nasce da geometrie sacre e principi numerici arcani, trasformandosi in partiture che diventano mappe di mondi nascosti. L’approccio va oltre la mera percezione sensoriale, spingendosi verso una dimensione in cui il suono non è solo ascoltato, ma visto, come un paesaggio interiore che solo l’anima può cogliere.
L’intento è forse creare una musica contemplativa che non impone, ma apre un varco all’ascolto silenzioso, dove l’eco delle note si fonde con il vuoto, lasciando spazio alla profondità. Le composizioni, come cristalli di luce, si adattano a diversi ensemble, dando nuova vita a ogni frammento sonoro, trasformandosi a ogni interpretazione. Alcuni brani sono nati pensando a musicisti come Manuel Zurria o Laura Agnusdei, diventando sigilli sonori che prendono forma solo quando sono incantati dalla loro interpretazione unica.
Lacinia si trasforma così anche in un rito collettivo, con arrangiamenti pensati per l’orchestra, sotto la guida di Mattia Cipolli. Qui, l’invisibile si materializza nell’incontro di suoni condivisi, come se l’orchestra stessa diventasse un’entità vivente, capace di incarnare l’essenza del progetto e di far emergere nuove sfumature di significato.

CADUX / plectere è la prima composizione per trio di flauti, magistralmente eseguita da Manuel Zurria, per il quale Pilia ha scritto appositamente il brano. Nato a Catania nel 1962, Zurria ha collaborato con importanti compositori italiani e ha interpretato in prima mondiale concerti e opere a lui dedicati. Colgo l’occasione per invitarvi a riscoprire Landscape with Tears, che anni fa mi colpì profondamente, e ad esplorare la sua vasta produzione musicale.Il brano, con il suo intreccio di flauti, ci introduce fin da subito in un’atmosfera meditativa. In questa composizione di circa cinque minuti, si assiste a un incontro lento e riflessivo, dove la partitura si fa aria e vibrazione. Il susseguirsi e l’alternarsi dei flauti, che si accompagnano e si rincorrono, creano un movimento perpetuo che, come il passo dei monaci nella cattedrale di Chartres, evoca un’eterna orazione in cammino nel labirinto.Al termine di questi cinque minuti, non possiamo che rimanere estasiati e rapiti da tanta bellezza, indecisi se ascoltare il brano all’infinito o lasciarci trasportare nei meandri dei successivi 15 brani, che promettono altrettanta intensità e luce. A voi la scelta!

Il viaggio prosegue con il quartetto d’archi Ensemble Concordanze formato da Pietro David Caramia,Elena Maury,Alessandro Savio e Mattia Cipolli a dare forma a LACINIA OFF AXIS dove l’andamento è lo stesso del primo brano ma qui grazie ai toni gravi degli archi, al loro vibrare e rimanere sospesi questa salita al Monte Analogo si fa più oscura, intrisa non solo dalla commovente malinconia del primo brano ma anche da un senso di inquietudine appena percepito. Anche qui il dialogare degli strumenti ci ricorda un ricamo, un arazzo e in un certo senso mi ha anche ricordato le bellissime e fuori asse architetture disegnate dai ragni sotto influsso dell LSD in pioneristici esperimenti degli anni 70. Anche per questo brano come per il precedente e per i successivi vale la virtuosa possibilità di un ascolto in loop all’infinito, come se i brani potessero farsi boschi, deserti, cieli e nuvole seguendo il sussurro antico della terra e delle sue leggi.

Il mio pensiero associativo è subito corso a Tabula Rasa e Spiegel im Spiegel di Arvo Pärt, ma si tratta di un’idea istantanea e, seppur legittima, non esaustiva. Perché, sebbene Maris Stella / Plectere II possa evocare quelle atmosfere in alcuni momenti, mantiene comunque una sua unicità, soprattutto nell’intreccio ritualistico e sospeso che riesce a creare tra le percussioni e l’organo suonati da Pilia e i fiati di Elisa Bognetti. Questo brano trova una formula magica tra gli strumenti, generando un mondo sonoro che si collega con gli altri pezzi, ma che allo stesso tempo è assolutamente unico e commovente. La grana sonora di Maris Stella / Plectere II evoca la fragilità di una pellicola antica, consumata dal tempo, dove i suoni si sovrappongono e si intrecciano, creando una texture densa e potente, ma al contempo eterea, che si insinua nell’anima con una forza tanto viscerale quanto misteriosa.

ERE è la quarta composizione, il quarto arazzo intessuto dalle visioni di Pilia, che unisce organo, nastri e un violoncello magistralmente suonato da Mattia Cipolli. Ogni nota si fa spazio nell’oscurità e, pian piano, il grande arazzo si infittisce, svelando una trama che si intreccia delicatamente tra luce e ombra, aprendo il suo respiro al mondo con una grazia sottile. Sul finire, entra la voce campionata di Christa Ludwig, una delle più grandi interpreti vocali del XX secolo, la cui presenza conferisce una forza straordinaria al brano, elevandone l’intensità emotiva e infondendo a ogni nota una potenza che attraversa l’aria come un riverbero di mistero, sospeso tra il visibile e l’invisibile.

In ARBOREA / Plectere III torna l’Ensemble Concordanze, intrecciando un quadro pacificato, dove le corde gravi e acute si rincorrono in un dialogo vibrante e commosso. Si incontrano e si alternano come in una danza propiziatoria, leggera e rituale, che si snoda tra arbusti centenari per celebrare l’eterno ciclo della vita. La luce primaverile filtra attraverso le foglie, modulata dal respiro caldo del vento, mentre noi restiamo distesi, cullati da questo sublime movimento sonoro, desiderosi che non finisca mai, sospesi in una dimensione senza tempo. C’è qualcosa di ipnotico in questa tessitura armonica, un’eco lontana delle strutture cicliche di Philip Glass, dove la ripetizione si fa incantesimo e il suono diventa respiro del mondo.

EVE è un viaggio sonoro in cui oscillatori, chitarra e voce si intrecciano in un dialogo etereo e sospeso. La voce di Alice Norma Lombardi, intensa ed evocativa, intona con sensibilità e profondità i versi di Katherine Mansfield, trascinandoci in un paesaggio sonoro stratificato, dove le vibrazioni analogiche e le frequenze modulate si fondono in un flusso ipnotico. È un rituale sonoro delicato e magnetico, in bilico tra intimità e astrazione.
“Voglio, attraverso la comprensione di me stessa, riuscire a comprendere gli altri. Voglio essere tutto ciò che sono capace di diventare, per poter essere (e qui mi sono fermata ed ho atteso, atteso, non trovando la parola adatta… soltanto una frase può esprimere quello che voglio dire) una figlia del sole. Quanto ad aiutare gli altri, a portare luce, mi sembra falso aggiungere una sola parola. Basta così: essere una figlia del sole.”
Questo brano tratto dai diari di Katherine Mansfield, che mi ha sempre colpito, sembra riecheggiare in questa composizione abbagliante, dal respiro liturgico e definitivo. E, in un certo senso, la scrittura stessa della Mansfield mi torna alla mente ascoltando queste musiche, che sembrano in connessione con un altrove sfuggente, muovendosi tra il quotidiano e il trascendente. Un rituale di luce e consapevolezza, sospeso tra rivelazione e mistero.

SIDEREUS / Plectere IV è una composizione scritta appositamente per Laura Agnusdei, che dà voce al sax con una sensibilità unica e coinvolgente. Il brano si sviluppa in un intreccio suggestivo di sax, organo e percussioni, con Stefano Pilia che suona sia l’organo che le percussioni, creando un magmatico tappeto sonoro orchestrato con maestria e una straordinaria capacità di esaltare l’essenziale. Questo tappeto sonoro ci solleva da terra, grazie alle note pure ed essenziali del sax, che si espandono verso l’alto in una continua e armoniosa crescita. La struttura melodica scritta da Pilia ha la purezza di uno sguardo infantile, incontaminato dalla complessità, che ci invita a seguire il brano come se fosse costellato di silenziosi segni, come indicazioni misteriose verso l’alto, verso il cielo e la sua sbalorditiva totalità. Nonostante la diversità tra i due brani, la mia mente è corsa a Bird’s Lament di Moondog. Entrambi i brani, seppure diversi nella forma e nel contesto, sembrano condividere una ricerca profonda e spirituale, un desiderio di comunicare un senso che va oltre le parole, una sensazione di trascendenza che si manifesta nell’essenzialità.

In LACINIA IN AXIS, l’Ensemble Concordanze si fa dissonante e oscuro, creando una tensione palpabile che segue le intricate partiture di Stefano Pilia, le cui strutture musicali sembrano prendere vita e raccontare un travaglio interiore, un dolore profondo derivante dal passaggio e dalla ricerca di un’apertura verso un “altrove”. La ricerca di questo altrove, tuttavia, non è un cammino semplice, né una passeggiata tra campi fioriti. È, piuttosto, un percorso segnato da sofferenza, dubbi, travaglio e incertezze. In questo senso, il brano rappresenta perfettamente questa lotta, questa tensione interiore che emerge nel momento cruciale in cui ci troviamo di fronte a un bivio, ogni volta che dobbiamo prendere una decisione importante nella nostra vita. La trama di LACINIA IN AXIS è intrisa di una luce scura e sfuggente, vibrante e dolorosa, che ci strazia, ma che, paradossalmente, ci appartiene profondamente. Questo pezzo è un tentativo riuscito e potente di esprimere quella condizione di lacerazione e speranza che accompagna ogni momento di scelta, un’oscurità che, pur essendo dolorosa, è anche una parte fondamentale di chi siamo.

VERIS / Plectere V è una composizione che unisce l’intensità del violino e della percussione in un dialogo sonoro ricco di tensione e sfumature. Il brano vede protagonisti Alessandro Trabace al violino e Stefano Pilia alle percussioni, che, con la loro interpretazione, costruiscono un paesaggio sonoro vibrante. Vi sono assonanze con le opere di Steve Reich, ma anche in questo caso Pilia ci sorprende, tessendo un arazzo sonoro che, pur nella sua vicinanza a certi stilemi, resta profondamente personale. Il suo linguaggio musicale intreccia visioni passate e future, creando una struttura che si costruisce lentamente, filo dopo filo, nel tempo. Ogni colpo di tamburo è come un segno, un battito che scandisce il cammino tra la morte e la rinascita, tra il caos e l’ordine, tra l’ombra e la luce. Nella sua intensità, la percussione si fa presenza, come il respiro di un’entità che si prepara ad affrontare l’ignoto, o il pulsare del cuore di un mondo nascente.

Nel decimo brano, NOVA pt I, l’esecutore è solo Pilia, che ci guida in una salita sonora, un’arrampicata in cui il sole ci acceca e le mani faticano a mantenere la presa. Eppure, spinti da forze superiori, continuiamo a salire. In questa composizione sembra di udire un suono ancestrale, che per millenni è rimasto sopito nelle profondità della terra, e che, una volta risvegliato, si espande in tutta la sua totalità, stratificata nelle ere geologiche. Quando ho ascoltato il brano per la prima volta, ho dovuto alzarmi dalla sedia, fare due passi, chiedendomi se davvero fosse successo, per poi risedermi incredulo e riascoltarlo più volte. Qui è davvero riduttivo parlare semplicemente di musica, arte o creazione: NOVA pt I è sconvolgente, una testimonianza della profondità e consapevolezza della ricerca di Pilia. In pochi minuti, una composizione si trasforma in un bolide infuocato che solca un cielo insondabile. Un manufatto magico e misterioso che sembra trascendere il suo creatore, per farsi totalità.

L’Orchestra D’Archi del Teatro Comunale di Bologna esegue EVE, l’undicesima composizione di Pilia, che si muove negli stessi territori e lungo le stesse linee della sesta composizione omonima. Tuttavia, in questa versione, sembra che una luce più intensa cominci a filtrare, a irradiare le trame di questi movimenti. Pur nell’assoluta continuità e assonanza con la composizione precedente, EVE ci mostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la profondità e la potenza delle opere di Pilia. Ogni nota brilla di riflessi nuovi e cangianti, si trasforma e muta senza mai perdere la propria essenza, rimanendo allo stesso tempo fedele a sé stessa e aperta a infinite possibilità di esecuzione. La composizione si fa esperienza vivente rendendo ogni interpretazione unica e vibrante.

Ed ecco che la composizione precedentemente ascoltata, NOVA Pt I, ritorna, si evolve ed espande nella sua continuazione, NOVA Pt II. Ascoltando e riascoltando questi due brani, ho avuto un rapido ricordo sonoro di Ten Years Alive On The Infinite Plain di Tony Conrad. Ora, è importante chiarire che sono realtà completamente diverse, ma proprio per questo mi fa piacere che la mia mente, a volte, corra da un suono all’altro, da un disco all’altro, muovendosi liberamente tra l’oggi e il passato. Credo che ci siano intuizioni comuni, ricerche che si intersecano e si alimentano a vicenda, senza che vi sia una volontà consapevole, ma semplicemente perché siamo da sempre e per sempre collegati, comunicanti, vibranti. In un certo senso, forse seguiamo una trama, un sentiero nella sabbia che il vento non è riuscito a cancellare perchè scolpito nei meandri della nostra memoria. Per questo, penso che vada ringraziato e ammirato il lavoro di Pilia, che, grazie alla sua fatica e al suo sacrificio, riesce a intercettare segnali e a trasmetterne altri verso chi o cosa non possiamo sapere, almeno non in stato di veglia.

Pilia affida poi all’Orchestra d’Archi del Teatro Comunale di Bologna, sotto la direzione di Paolo Mancini, l’esecuzione di tre brani che si presentano come autentici capolavori cinematografici. Questi brani, infatti, hanno una qualità fortemente evocativa, tanto da sembrare quasi delle colonne sonore perfette per un film. Ma, in realtà, la loro vera potenza, a mio parere, non risiede nel fatto di essere legati a un film, quanto nel fatto che sono brani musicali autonomi che immediatamente ci spingono a immaginare immagini, a costruire una narrazione propria. Ci trasportano in un mondo in cui la musica diventa il veicolo di un racconto visivo che nasce nell’immaginazione di chi ascolta. I brani sono MATRIX / Plectere VI, MARIS STELLA / Plectere VII e LACINIA OF AXIS, e si rivelano come stupefacenti e preziosi dispositivi per il nostro immaginare e sognare, in grado di alimentare il nostro desiderio di storie e di visioni, senza bisogno di parole o di immagini concrete. Sono un invito a esplorare un mondo che esiste solo nel nostro vissuto e nelle nostre sensazioni, un viaggio che si fa attraverso l’ascolto, un processo di scoperta che continua a evolversi dentro di noi.

CYCLE / Plectere VIII è l’ultima composizione di questa imponente opera di Stefano Pilia, un vero e proprio Aleph che ci ha donato. In questa composizione finale, Pilia si presenta da solo, con organo e percussioni, e subito la mente corre all’immagine di Franco Battiato, che nel 1975, nella cattedrale di Monreale, improvvisa sul maestoso organo del duomo arabo-normanno. Un incontro di sacralità e solitudine, di passato e presente, che risuona come un’eco nel nostro immaginario.
Ma questa non è solo una semplice assonanza. In questo collegamento, infatti, si cela molto di quanto ho ascoltato in questo disco, che nel mio percepire è sorprendentemente vicino a lavori come L’Egitto prima delle sabbie o Messa Arcaica di Battiato. Così come l’eterno ricercatore di Jonia, anche Pilia porta avanti due ricerche: quella personale e quella musicale, facendole incontrare in modo unico, per regalarci questa musica. E quando parlo di “regalo”, non penso di esagerare: questa musica, se ascoltata con attenzione, può davvero farci del bene, portarci a un cambiamento di prospettiva, o più semplicemente farci vibrare, sentirci più vivi e desiderosi di crescere. È un invito a non accontentarsi, non smettere mai di cercare. Sono certo che Pilia ci regalerà ancora per molto, molto tempo lavori importanti e sempre più essenziali.

*da Detti e fatti dei padri del deserto

Photo Credits Matilde Piazzi