Stefano De Ponti – Fin d’Ersástz/20xx–2016 (Grotta, 2017)

Con meno di vent’anni di musica e un’età anagrafica che non tocca i quaranta è ancora lontano il tempo dei bilanci, ma può essere il momento di fare il punto della situazione, guardarsi indietro (e dentro) per andare avanti. È quello che fa Stefano De Ponti con questa cassetta pubblicata in edizione limitatissima (solo 37 copie) dalla Grotta Records, un piccolo scrigno che racchiude, debitamente sintetizzate, le esperienze finora fatte in una forma che non ha nulla di nostalgico o del riassuntivo: Fin d’Ersástz / 20xx – 2016 è il punto d’arrivo di un’esperienza che si pone come punto di partenza di nuove avventure, che forse sono già qua. Per l’artista le due tracce che riempiono i lati del nastro si potrebbero prestare a un ascolto infinito è l’idea è quanto mai felice: per una musica che ignora l’idea di genere (e per certi versi, vedremo, anche quella di musica) un fluire senza inizio né fine è ideale per cogliere ogni volta aspetti nuovi e approfondire ciò che già si è sentito. Vien quasi da pensare che sia possibile – probabilmente lo è – iniziare l’ascolto in un punto a caso e – alla maniera di certi romanzi burroughsiani – vivere un’esperienza ogni volta diversa. Quel che è certo è che attraversare Fin d’Ersástz vuol dire addentrarsi nell’anima di De Ponti, conoscendone i gusti e gli ispiratori; tutto ci viene poi restituito senza soluzione di continuità né gerarchie in un lavoro che combina cinema e post-rock, avanguardia e monologhi, dialoghi e musica, rumore e teatro e del quale siamo talvolta allocutori, talaltra semplici spettatori, talaltra ancora naufraghi trasportati dal flusso sonoro. Inutile citare i riferimenti stilistici e le fonti: nel complesso processo di composizione tutto si combina dando vita a un’opera affatto nuova e se da un lato è ovvio che questa sia solo una delle possibili forme ottenibili da queste fonti, dall’altro è essa stessa passibile di molteplici letture. Si torna sempre lì, all’idea che le cose siano di continuo rimesse in gioco, che nulla sia stabile ma continuamente ricreabile. De Ponti, nel comunicato stampa, parla di un lavoro pubblicato  “prima di addentrarmi in un futuro di rivoluzioni e attese”; fatico a credere che, in un’opera così complesso eppure aperta alle interpretazioni di chi le si voglia accostare con la dovuta passione e curiosità, non si trovino i germogli del De Ponti prossimo venturo ma è cosa che solo il tempo saprà dirci. Nell’attesa ci teniamo ben stretto Fin d’Ersástz.