Esiste un confine invisibile tra il controllo del suono e il momento in cui il suono prende il sopravvento. Su questa linea sottile e vibrante si muovono Alessandra Novaga, Stefano Pilia e Adrian Utley. Vederli e ascoltarli al limite del baratro è stato un’esperienza intensa e commovente.
Tre mondi sonori molto diversi, tre approcci distinti alla chitarra, trovano un senso comune in questo progetto, dove le composizioni di Stefano Pilia prendono nuova vita grazie a arrangiamenti per tre chitarre.
Il primo impatto visivo è dato dagli spartiti, dalle cinque chitarre, da un piccolo modulare e da vari strumenti che portano la chitarra verso nuove dimensioni sonore. Questo risultato è possibile grazie alla bravura e al rigore di tre dei musicisti più talentuosi in circolazione, non solo in Italia. Definirli “bravi” è riduttivo: il percorso di Pilia, da chitarrista in continuo movimento tra improvvisazione e rock a compositore consapevole e maestro della scrittura musicale contemporanea e improvvisata, è esemplare. Seguo la ricerca di Alessandra Novaga da molti anni. Fin da subito, nella sua scrittura e nelle sue esecuzioni, mi ha colpito la maturità e l’approccio unico: consapevole, ispirato e frutto di uno studio incessante. Adrian Utley, invece, è un inventore di suoni che hanno segnato la fine del secolo scorso. Mi ha impressionato il suo rapporto viscerale con lo strumento e la sua capacità di muoversi con naturalezza tra l’esecuzione d’ensemble e l’improvvisazione rumoristica.
Le composizioni di Pilia sono complesse, ma allo stesso tempo comunicative ed emozionanti. La sua abilità sta nel catturare l’essenza del suono e trascriverla senza perdere un attimo di intensità.
Il concerto dal vivo è durato circa 50 minuti, intensi e a tratti sconvolgenti, per come le tre chitarre, pur nella loro diversità, suonassero con coerenza e sincronia. Cosa si intende per musica sacra oggi? Non esiste una risposta unica, ma mille diverse. La mia definizione è che la musica che ho ascoltato allo Spazio Teatro 89 potrebbe essere forse definita sacra, perché ricerca l’essenza e diventa uno strumento conoscitivo. Mentre ascoltavo, mi sentivo trasportato altrove: è una musica che sfida le leggi dello spazio e del tempo, diventando uno strumento percettivo che altera lo stato d’animo, portando sia chi ascolta sia chi suona in una dimensione differente.
Dopo aver amato Spiralis Aurea, l’album dal vivo che ne è seguito, e l’ultimo lavoro di Alessandra Novaga, ieri sera mi sono sentito davvero fortunato ad assistere alla nascita di questi suoni. Note e rumori si intrecciavano con una tale armonia che, a un certo punto, ho chiuso gli occhi per l’intensità, sentendo una potenza paragonabile solo agli eventi naturali. Lo Spiralis Aurea Trio è stato tempesta e alba luminosa, pomeriggio arido d’agosto e lieve nevicata di dicembre, vento impetuoso e serena stasi notturna.
L’unico brano inedito della serata è stato composto da Adrian Utley. Già dalle prime note ho raddrizzato la schiena, cercando di mettere a fuoco cosa stesse accadendo sul palco. Pur essendo coerente con le altre composizioni, questo brano era profondamente diverso. Dovrei riascoltarlo per comprenderlo appieno, ma in quei pochi minuti tutto è cambiato: la luce, pur rimanendo intensa e quasi accecante, ha assunto una qualità differente. Mentre Utley e Pilia creavano paesaggi sonori di nebulose e rumori, Alessandra Novaga, con l’archetto, disegnava una melodia antica e moderna al tempo stesso, qualcosa di alieno e profondamente umano. La sua tecnica e la sua espressività mi hanno portato, per strane associazioni mentali, sulle rive del Gange, dove la chitarra si trasformava in un vibrante sarangi. Ogni nota e vibrazione erano cristalline, materiche e luminose. Un’esperienza incredibile!
Ci sono dischi, libri, persone e avvenimenti che possono cambiare lo stato delle cose, anche in modo impercettibile all’inizio. Per me, questo concerto ha modificato il mio modo di relazionarmi al suono e penso possa fare grandi cose anche per chi riuscirà a vedere e ascoltare questo progetto dal vivo.