Speedy Peones – Karel Thole (Shyrec, 2010)

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Finalmente un dischetto estivo come si deve, di quelli capaci di ricordarti che, aldilà di afa e lavoro, ci sono altre ragioni (buone, ragioni) per sudare… roba con alla base quel po’ di garage sufficiente a farti ancheggiare schiaffeggiandoti ritmicamente le chiappette (sto parlando di voi: io certe cose proprio non le faccio), base su cui con naturalezza si appoggiano chitarre sferraglianti vicine alla scuola skin graft (diciamo dalle parti di Chinese Stars, band davvero molto vicina, per attitudine e suoni, a questi peones) e tocchi acidi d’elettronica. Il disco riunisce materiale nuovo a quanto già uscito per Marsiglia e, se avesse una produzione appena-appena migliore (con un po’ di coraggio in più sarebbero dei piccoli Brainiac, e scusate se è poco), sarebbe un’autentica goduria. Certo, niente di nuovo, ma sono sicuro che questi peones, in futuro, riusciranno anche a stupirci, se sapranno impedire che questo sanissimo rinfrescante istrionismo finisca col spegnersi in manierismo poseur: il prossimo passo sarà scegliere se andare in direzioni più decisamente pop (Enon?: si senta Systeme Solaire, ad esempio), se approfondire quella vena krauta che cova appena sotto la superficie convulsa (si senta l’ultimo pezzo, Moon…) o se, baldanzosamente, spingere sull’acceleratore fregandosene di tutto… non vi dico per quale ipotesi parteggio, vi basti sapere che starò, curioso, ad aspettare.
Ah, quasi dimenticavo: Karel Thole ha (di)segnato le mie prime passioni… gli Speedy Peones sono miei amici, dunque.