Fin dalle prime battute del quarto lavoro gli Space Aliens From Outer Space ritroviamo tutto quanto del progetto torinese apprezzavamo: le rotte interstellari pinkfloydiane e kraute, il pop robotico (e una certa teatralità) in quota Rockets, la sci-fi che presenta un futuro anteriore dal quale non passeremo mai, l’idea di una musica così fuori dal tempo e dalle mode da risultare originale e riconoscibile. Il problema è che orami tutto è noto e svanite prima la sorpresa e poi il piacere della riconferma, l’astronave dei quattro alieni sembra girare in un‘orbita ellittica che non lascia immaginare grandi sviluppi. Non che Trajectory, con le sue durezze funk, o Entanglement, coi suoi ritmi intricati, non siano degli ottimi pezzi, ma per viaggiare nello spazio profondo oggi serve altro. Così, dopo la seconda metà del disco, si accendono i booster e fin da Into The Nebula in discorso si fa più serio, pur senza perdere le peculiarità che contraddistingue lo stile del progetto. Gli elementi del suono degli SAFOS vengono ricomposti in forme che occhieggiano il prog e certo jazz spaziale, meno giocose e più austere, ma al contempo aperta a un numero maggiore di influenze. The Outer Realms è un’escursione pulsante ed ipnotica attraverso una fascia di asteroidi, Particle Horizon un lento avanzare nel gelo siderale che ci porta lontano dalle precedenti rotte e Starchaser un finale epico, con qualche venatura malinconica, che chiude il disco in un crescendo di tensione. In futuro, a quanto pare, ci sarà meno da divertirsi ma il viaggio sarà più interessante: la rotta è ancora ignota, ma a questo punto è certamente un bene.