Sopraterra – Seven Dances To Embrace The Hollow

Sette Tracce per abbracciare il vuoto del titolo, pensato dai Sopraterra, duo composto dagli zurighesi Magda Drozd e Nicola Genovese in questo loro album che sembra trascinarci fin da subito in una psichedelia rituale che va toccare terra e Daria, quasi cuocendo gli elementi fra tradizione ed ascetismo.
Ascoltando i primi brani dell’album, colpisce come le assi portanti che recano il lavoro, siano le medesime che ci permettono di vivere: le percussioni ed i beats il battito ed i fiati il respiro, condensando dentro di sé una musica che ingloba molte tradizioni all’interno di un viaggio e di un mondo fantastico ed immaginario. Con il terzo brano, Chest Mest, ci si sposta indietro nel tempo, quasi a vivere un’avventura sonora preistorica del tutto affascinante, con vagiti ormai sepolti e scariche energetiche. Ci si perde nei meandri della proprio mente con The Primal Regret, risvegliati poi dalle fauci e dal latrare di un cane. Ma le sette danze sono strettamente collegate e si viene letteralmente trascinati via seguendo il lirismo suadente di un sassofono che oscilla davanti a noi come un’ odalisca. L’ambientazione è ora quella medievale, con un corollario di armonie ed atmosfere che fanno di Horizontal Gathering un dolce ammasso di vite e storie dei tempi passati. Anche le voci sembrano essere quelle di fantasmi, apparizioni non funeree né terre bensì evocative, lontane e magiche. Eternal Decay è una mossa jazz che si inasprisce e che turba, un’interferenza che attecchisce ed intacca come corpo estraneo o forse come semplice caso della vita, interferenza di un viaggio che ne esce ancor più sgargiante e tonico. An Elegy for the Phoenix è titolo che porta con sé immagini ed intenzioni impegnative e scioglie i dubbi in un mid-tempo fra il western ed il medioevo, portandoci ancora una volta Sopraterra, alla luce.
Un disco profondo ed intrigante, che non dovrebbero perdersi chi negli anni ha amato spingersi nei territori di Alfio Antico o di the Lay Llamas, per citare solo due di quell’enorme bacino che con questi suoni opera da anni.