Silvia Cignoli. Intervista, take 2, dal parco.

Periodicamente mi capita di riscrivere recensioni che misteriosamente vado a perdermi nell’etere ma quando questo succede alle interviste la faccenda diventa più complicata. Silvia Cignoli l’ho sentita per la prima volta telefonicamente il 26 di settembre, dopo aver divorato, commuovendomi, il suo disco all’ascolto in un viaggio di ritorno verso casa che in quella mezz’ora mi vedeva attraversare le maestose piane e valli del Canton Vallese, presso l’impressionante (per bellezza) Passo del Sempione. Volevo assolutamente sentire la voce di Silvia per capirne i pensieri che l’hanno portata a generare un’opera come Allegory of Earth and Water, recentemente uscita per la Rohs Records di Andrea Porcu. L’ho fatto in due tronconi, da casa e dal parco giochi vicino, perdendo scambi e pensieri che continuano a girare in aria fra i ricordi e che non sono riuscito a chiudere, lasciando fra terra ed acqua altri argomenti che vanno ad aggiungersi ai suoni liberati dalla musica di Silvia Cignoli.

Salve Silvia, è passato ormai qualche giorno da quando ci siamo sentiti la prima volta a proposito di Allegory of Earth and Water. Il disco ti piace ancora?

In realtà per me è passato ben più di qualche giorno visto che da quando l’ho composto sono passati più di due anni ma sì, posso dire di esserne ancora soddisfatta. Sono sempre in cerca di nuove prospettive sonore però non penso sarà mai un lavoro che rinnegherò, ecco!

A che tipo di velocità ti muovi come artista? Ti senti ancora rappresentata da un disco che hai concepito due anni fa o sei già altrove adesso?

No, mi sento rappresentata nonostante la ricerca continuia: specialmente nell’ambito del suono più si va avanti con la ricerca facendo certe cose il suono stesso ci suggerisce delle strade. In questo caso penso che sia uno dei lavori più compiuti che abbia fatto finora, un lavoro più di mezz’ora con una forma così coesa ed in più un postludio. Mi riconosco e chiaramente lascio aperte anche le strade dell’imprevedibilità.

Calcolando che tu questo lavoro lo hai già portato spesso dal vivo in gran parte, anche con un supporto video, per il quale forse l’uscita del disco funge proprio come coronamento di una fase?

Sì, sì esatto, è stato un coronamento.

Qual è stata la risposta del pubblico e degli ascoltatori, addetti ai lavori e collaboratori finora?

Ti posso dare i feedback che ho ricevuto, che di solito od in maggioranza sono quelli positivi, visto che quelli negativi di solito vengono tenuti per sé. In quelli positivi rilevo, e mi fa molto piacere, una forte empatia con la musica, persone che mi hanno scritto dicendo che ascoltare il disco gli ha evocato un determinato ricordo (scrivendomi proprio il ricordo), oppure alcuni sentono in questo scorrere della musica dei paesaggi interiori emozionali che rivivono dentro di sé. Dal punto di vista tecnico invece qualcuno si è complimentato della qualità del suono, del trattamento sonoro delle chitarre in combinazione con l’elettronica insomma.

Dicevi, ed è spesso è così, che la critica positiva viene spesso esternata mentre quella negativa la si tende a nascondere. Non è bizzarra come cosa? Come autrice e compositrice una volta pubblicato un disco non sei più in grado di modificarlo e qualsiasi reazione è una reazione (positiva o negativa che sia) da raccogliere. Da musicista che rapporto hai con questo tipo di osservazioni quando vengono fatte?

Ma, allora, diciamo che non sono permalosa ed accetterei di buon grado le critiche negative, qualora siano sincere, vengano fatte con cognizione di causa e con una qualità di ascolto di un certo tipo. Mi rendo che spesso magari un certo tipo di musica come quella contenuta nel mio album, diciamo ambient, può essere di difficile ascolto perché va fruito nella sua interezza e non come estratti come magari può bastare per canzoni più brevi o altri generi musicali. Sarei contenta se chi abbia potuto fare questo percorso potesse esprimere critiche o consigli, al netto di un disco che si ascolti con questa ottica. Un musicista che ha in mente un certo tipo di sound o di evoluzione musicale di sicuro non può ascoltare il mio disco con l’ottica con la quale ascolta un disco jazz, in questo senso.

Riflettevo in senso più ampio sulla critica vsto e considerato anche per le pagine per le quali scrivo o come forma mentis mia se una cosa non è bella piuttosto non ne scrivo. Però se ricevo un disco l’artista ha l’aspettativa di un feedback e trovo che se questo avviene come tu dicevi in maniera pertinente sia positivo, considerando che spesso si cresce piû con le critiche che con gli elogi, anche se so che questo tipo di possibilità spesso crea ansia in alcune persone.

Anche a me! Non posso nascondere che l’ansia della critica c’è però è anche vero che molti, mi è capitato di sperimentare questa cosa soprattutto nell’ambito della musica più “sperimentale” spesso la critica viene fatta, non in faccia ovviamente, c’ê un mood critico che sale quando ad esempio si assiste ad un concerto e vedo che molto spesso la gente tenda ad essere pungente e questa cosa a me infastidisce, più per gli altri che per me stessa. Nel senso che bisogna sempre farsi una domanda: “Perchè questa persona performa? Perchè è lì?” Evidentemente questa persona ha compiuto uno sforzo e siamo parte della sua stessa barca, non facendo musica pop becera ma con un certo cervello dietro ed a volte la critica aspra nel confronto di un collega può darmi un po’ fastidio.

Comprensibile. Ragionavo sull’uscita recente del disco di Alan Sparhawk dei Low, che ha ricevuto o elogi fantastici o stroncature fantastiche. Però leggendo le critiche da un aparte e dall’altra c’è il sentore che chi sia schierato da una parte o dall’altra lo abbia fatto in qualche modo perchè volesse bene a questo musicista, con un occhio comunque di soddisfazione od insoddisfazione per una persona che ha avuto un percorso, un bisogno espressivo e si trovi in una certa situazione. Se poi il risultato e la lettura sia positiva o negativa la posizione è sacrosanta, altrimenti ci ridurremmo alle pacche sulle spalle l’un l’altra.
Ricordo di averti chiesto sulla fruizione di questo disco, che secondo me è un lavoro notturno con delle luci…che tipo di attenzione e riguardo ti aspetti dal pubblico all’ascolto del tuo lavoro? Come vorresti che facessero?

Chiaramente credo che l’aspettativa più alta di tutti i musicisti sia quella che gli ascoltatori si chiudano in una stanza, accendano la musica ed ascoltino dalla a alla z quello che fluisce dal supporto del momento. Sicuramente è un disco che fa della sua forma la sua forza, avendo tutta una prima parte che è molto coesa per cui apprezzarne l’interezza è un po’ come apprezzarlo di più. D’altra parte non è un disco che presenta molta difficoltà d’ascolto, un disco elegiaco che accompagna molto ed è provo di momenti nei quali l’ascoltatore possa sentirsi “scosso in maniera violenta”, è comunque un disco che accoglie e che magari suggerisce delle cose internamente senza scuotere l’ascoltatore. L’ascolto perfetto potrebbe essere quello notturno, magari ad occhi chiusi od un ascolto crepuscolare, magari in una situazione di contemplazione o meditativa, però può essere anche secondo me un disco che possa accompagnare i momenti disparati della giornata e la vita quotidiana.

Che cosa ti ha portato invece ad arrivare a questo disco? Che tipo di imput ed ispirazione hai avuto per raccontare questa storia legata alla natura. Qual è la sua genesi?

La genesi è stato un input totalmente diverso da quello che poi si è sviluppato portandomi al risultato finale che nemmeno più mi ricordo, forse la partecipazione ad un bando al quale mi aveva stimolato Salvatore Insana (artista che si è occupato di tutta la parte Visual dell’album). Credo che all’inizio dovesse essere una sola traccia ed in realtà poi, da lì, la traccia ha preso una forma più ampia. Più che indagare una cosa specifica come giâ dicevamo questo disco ê una sorta di paesaggio interiore fatto di chiaroscuri umorali ed emozionali che appunto, per fare paragoni altissimi, è un po’ come l’impressionismo, che sappiamo bene avere questa motivazione nel suo essere, mi piaceva il fatto di creare chiaroscuri che non descrivessero qualcosa di riconoscibile visivamente ma delle penombre interiori. Da lì poi in realtà il titolo si rifà a qualcosa di più oggettivo che è un dipinto di Jan Brueghel il giovane e fa riferimento appunto alle allegorie, tuto insomma un concetto di simbologia fra ciò che è l’allegoria e ciò che può essere la rappresentazione. L’allegoria della terra e dell’acqua, degli elementi naturali e di quanto questi possano rappresentare simbolicamente il nostro paesaggio interiore.

Sei a cena con conoscenti, amici ed altre persone e ti chiedono: “ah Silvia, abbiamo saputo che sei una musicista! Che musica fai?” Come ti poni?

Allora, come mi pongo? Ha ah: io mi gioco…dapprima parto nel dire che sono una musicista classica perché quello lo capiscono tutti, poi a volte parto dicendo che faccio anche linguaggi sperimentali per usare un termine molto ampio, a volte parlo anche di psichedelia, che per alcuni è un termine che risuona molto e connota che tu faccia una musica senza dei beat e delle melodie ed a volte, quando si tratta di descrivere il mio lavoro cha va più invece nella sperimentazione, quindi come interprete di musica contemporanea raffronto la cosa ai linguaggi di arte contemporanea, quindi se parli alle persone di quadri astratti per intenderci è molto più facile fare un raffronto con la musica. Citi Vasilij Vasil’evič Kandinsky come autore di quadri astratti dicendo che nella musica a volte faccio così, lavorando per astrazione con i suoni ed anche il profano capisce.

Secondo te è più interessante convincere la persona già inserita in un determinato mondo di ascolti od un profano? Quando un profano ti da un riscontro qual è la sensazione rispetto a quando fartelo è una persona già avvezza ad un determinato suono? Cambia o è la medesima cosa?

Allora, la persona non avvezza sicuramente esprime giudizi ed apprezamenti più di pancia, che è diverso, nel senso che chi è capace di ascoltare, di empatizzare conuna forma d’arte anche se non la mastica è una persona che ha il cuore e la mente abbastanza aperti per apprezzare certe cose. Ed è una cosa che fa piacere quando certe persone empatizzano anche magari sentendosi colpite (non sempre in maniera positiva intendiamoci!), che apprezzano il tuo linguaggio e che ne fruiscano anche senza capirlo, mentre invece ovviamente chi è del settore conosce lo stile, i trick, tutta una serie di considerazioni tecniche e relazionandosi con te ti da tutta una serie di pareri positivi o negativi, testimonianze che prendi da un punto di vista più professionale perchè sai che non dipendono solo da un giudizio sul lavoro ma anche a questioni più tecniche appunto.

Questo nelle varie stanze della musica? Essendo tu passata da più mondi: la classica, la contemporanea, l’improvvisazione, questa cosa ti viene riportata? Un musicista classico riesce ad entrare nel tuo universo attuale? Ne ha ancora gli strumenti?

Mi sorprendo spesso a notare come in realtà non ci siano tantissimo gli strumenti perché nonostante per me sia stato molto naturale passare tra i vari linguaggi, proprio perché non ne fruisco da tecnica ma da persona che si immerge in altri universi e linguaggi buttandosi, vedo che spesso nel’amito chitarristico questa cosa non succede tanto, rimanendo legati all’aspettativa del performer che deve fare certi tipi di repertorio. Contesti legati alla musica classica, parlandoti soprattutto di chitarra classica dove addirittura fare dei pezzi di musica contemporanea è una cosa proprio fuori dalle righe. Molto triste perchê il mondo è bello perché vario ed è bellissimo sentire il concerto di musica classica di qualsivoglia autore e sarebbe bello insomma aprirsi anche ad altro!

Questo sarebbe auspicabile: a me è capitato di fare una sorta di cena d’ascolto con operatori di musiche di diverso tipo e l’dea di mischiare queste fruizioni è tanto auspicabile quanto difficile e scardinare queste dinamiche è veramente complicato.

Dal punto di vista di chi lo fa è molto vero: dopo dieci anni di conservatorio hai una forma mentis che ti rimane ed uscire dal seminato è difficile, così come chi dopo dieci anni di rock va a fare musica classica. Ognuno ha la sua ma un diverso punto di vista invece ce l’ha il fruitore, che non ha barriere tecniche e creative e può fruire liberamente dei generi, così come già succede in molti festival ed è bellissimo. Una volta non succedeva, oggi puoi trovare concerti di classica contemporanea, quindi scritta ed accademica, insieme al dj set e magari al concerto free jazz, molto molto positiva questa cosa, vedo che sta prendendo piede e mi piace!

Ottimo! Da parte nostra ti spingeremo su Sodapop in larga scala, sperando di raccogliere qualche ascoltatore noise o punk rock da sedurre, facendoti entrare in tutti i nostri settori! Io ti ringrazio moltissimo per la pazienza e la disponibilità, finalmente ce l’abbiamo fatta!

Yeah! Grazie mille a te, davvero!