Secret Colours – Peach (Autoprodotto, 2014)

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I Secret Colours sono il seme imbastardito della psichedelia primo periodo e del Britpop. Questa è la prima frase che si legge nel comunicato stampa che li presenta. Effettivamente colgo entrambi i riferimenti in maniera decisamente spiccata. Già da Blackbird, la prima traccia – citazione beatlesiana inconscia? -, Peach si rivela come un lavoro dai suoni devoti alla religione Madchester – Freak, World Through My Window – celebrati con bridge di stampo showgaze mutuati dai Blur di Leisure e Modern Life Is A Rubbish (backvocals e sottolineature di mellotron a secchiate) e Charlatans e voce molto simile (un pò troppo?) a quel Ian Brown dei tempi andati, quando ancora U.N.K.L.E. non era neanche all’orizzonte e non prestava la sua voce che a singoli osannati da NME e Melody Maker. Alla ricetta si aggiungano le chitarre in leggero overdrive che seguono pedissequamente la costruzione classica di canzone strofa-ponte-ritornello e si completa velocemente un quadro già visto. Euphoric Collisions ha inserti quasi garage che fanno pensare ai primi Kinks e solo Blackhole – andatevela a sentire qui – si discosta un pò da un album che mi sembra un’operazione commerciale per riportare in voga un certo genere – Brian Deck, già produttore di Modest Mouse e Gomez, deve aver visto lontano in merito a ciò che tornerà di moda -, svalvola rispetto al resto essendo composta da parti molto diverse tra loro che mischiano acustica, elettronica soft che si avvicina quasi al trip hop e giochi di effetti che rendono il tutto psichedelico come da promessa iniziale. Peccato che io ritenga che sia l’unico pezzo che esca dal coro. Peach è un disco di facile ascoltabilità e sicuramente l’insieme è gradevole,ma quasi mi infastidisce che sia zeppo di riferimenti troppo sfacciati che lo caratterizzano. I quattro di Chicago sono bravi, ma potrebbero forse provare ad intraprendere una strada musicale che li renda più indipendenti dalla scena britannica che li ha indubbiamente segnati, forse troppo.