Un ascolto lontano da qualsiasi condizionamento o cliché, una sfida a tutto ciò che è banale (“Banality is not harmless: it drives you furious” si legge nel retro del booklet, frase tratta da un’opera di Edmond Jabès), un rigetto verso tutto ciò che non può essere racchiuso o circoscritto, nemmeno nel calderone della sperimentazione radicale. La dichiarazione di intenti è impegnativa, per questo sarebbe proficuo ascoltare questo Act I: Notes Of Freedom senza prima leggere (come invece ho fatto io) la lunga, quasi monumentale, presentazione sul sito della label Setola Di Maiale.
L’ascolto infatti andrebbe fatto anche libero da timori reverenziali, visto il livello di esperienza oltre che di conoscenza musicale del trio che ha messo in piedi questo (possiamo dirlo?) ambizioso progetto: Andrea Massaria, docente di chitarra jazz al conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, Enrico Merlin, chitarrista eclettico e storico di musica afro americana con una fissa da vero esperto per Miles Davis e Alessandro Serravalle (già nei Garden Wall e, da solista, nel progetto Genoma), chitarrista autodidatta con la predilizione per la forma libera e la sperimentazione. Ma non è finita perchè, appena fatti gli onori di casa, arriva un gioco di rimandi e citazioni colte, tra cui lo stesso nome, Schwingungen, un omaggio al secondo album dello storico gruppo kraut Ash Ra Tempel. Act I: Notes Of Freedom, sin dai titoli delle tracce, trae ispirazione dall’estetica futurista, da Marinetti a Depero fino alla citazione degli artisti e scrittori Chelebnikov e Pierre Birot. Tanta carne al fuoco, insomma per un trio abile nell’intrecciare rapide pennellate di chitarre di matrice jazz (Compenetrazione Di Caselucecielo) o rock (Simultaneità Futurista Di Una Battaglia Navale) senza soluzione di continuità su basi di elettronica, samples e oggettistica varia (devo verificare la fonte, ma pare che abbiano usato pure dei veri e propri vibratori azionati dentro a delle scatole per poi elaborarne il suono). Verbal (Fortunato Depero) ci introduce a sonorità di una catena di montaggio alienata, di un ronzio di aeroplani, di vibrazioni di un vibratore appunto (e il finale di Crier?), per sfociare nella lunga Sensibilità Numerica dove, sotto coltri di trilli e voci campionate, la chitarra, quando fa capolino, si declina con scampoli di jazz scarnificato e spettrale. Pure il riferimento alla kosmische musik non sembra casuale, anche se, ascoltando la dinamica e lo sviluppo dei suoni la forma risulta talmente aperta da un lato da non poter nemmeno scindere le singole tracce e, per contro, talmente chiusa ed ermetica da un altro, da apparire come un messaggio cifrato registrato da qualche loggia oscura più di un secolo fa. Tracce di melodia spuntano in Funerali Dell’Anarchico Galli e 700 Chilomteri All’Ora (refuso voluto nella tracklist, presumo), ma si tratta di ombre vacue, pronte a far spazio a nuove sveglie sonore caricate manualmente e messe sotto una padella. Tranquilli non si dorme. L’intreccio di chitarre e il rullo di Finale Di Partitura Stra…Schönberghiana sembra avvicinarsi a un post rock captato da un satellite alla deriva. Chiude Vortice, nove minuti in cui sono le chitarre fuori controllo ad alzare la testa. Bando alle ciance e a possibili sfoghi fantozziani davanti a corazzate Potëmkin: da oggi qualsiasi mostra che si rispetti sul futurismo nelle sue varie espressioni (pittura, poesia, scultura…) dovrebbe avere questo album come soundtrack ufficiale negli speaker delle sale. Se non altro per l’estrema perizia e l’approccio indovinato dell’operazione, alla fin fine davvero riuscita.