Le Sassyhiya mi avevano stregato sin dal loro primo singolo, la splendida Kristen Stewart, in un brioso indie pop chitarristico capitanato dalle voci e dalle mani di Kathy Wright ed Helen Skinner (già attive insieme con il quartetto Barry, mentre Helen ha dalla sua i progetti insieme a Patrick Doyle, Boys Forever e Basic Plumbing), partners in crime e nella vita. Dopo un paio di ep a loro si sono aggiunti il batterista Pablo Paganotto ed il chitarrista Neiloy Mookherjee ed eccoci finalmente, sotto l’egidia di Skep Wax Records, all’esordio Take You Somewhere, prodotto da Toby Burroughs degli a me sconosciuti Pozi (prometto di informarmi su tutto, chiedo venia).
Londinesi, mani veloci e voci stupende, giri semplici e decisi, su quel crocevia fra acustico ed elettrico che fa tanto K Records le nostre mettono in fila 12 brani per 35 minuti di godibilissimi suoni coi quali muovere le gambette con una birretta estiva. Roba da mandar giù a sorsate in un concertino pomeridiano baciati dal sole. Nella scaletta ci sono diversi brani che raccolgono l’attenzione e spingono al brindisi, dal suddetto singolo ad una luminosa Puppet Museumc on altre deviazioni interessanti. Le due voci si sposano alla perfezioni, quando poi si aggiunge un handclap improbabile in Crayon Potato si sente addirittura profumo di anti-folk newyorchese, fatto però con la guisa di chi ha i piedi a mollo nel mare ed un gatto vicino (è un gatto quel che sentiamo alla fine del brano? Boh, buon bagno comunque). Il mood è rilassato e l’ascolto della successiva Take you somewhere ce lo fa capire, tastierine in evidenza, plin-plon da manuale ed una voce che mette in pace con il mondo, il sole negli occhi ed i cappelli di paglia su di una coupé. Sassyhiya (da pronunciare come Sassy Hiya, forse significa figlia impertinente) ama il mare ed il litorale, l’etichetta cita le Kleenex, i Go-Betweens e the Sundays ma aggiungerei anche certe Marine Girls, per il panorama quantomeno e per la capacità di nascondere brani più strutturati dietro ad una parvenza pop come la fantastica Perennials, tappa che dimostra che oltre a capacità melodiche e musicali le ragazza hanno anche il pollice verde. Il mondo slacker sembra unirsi ad un lato più strutturato e maturo, creando mondi caleidoscopici come nella meravigliosa On Our Way, letteralmente in grado di spararci in un mondo fantastico. It’s the SAMO come direbbe Jean Michel Basquiat: sentimenti, storie, strumenti e canzoni, il distinguo sta nel come queste canzoni vengano chiuse e come siano in grado di colpirti al cuore: Try try try mette letteralmente i brividi per la semplicità con la quale racconta i rapporti umani e riesce a toccarci ed a scuoterci. Sono le piccole cose che rendono dischi come questi meritevoli ed irresistibili una volta conosciuti: io ho addirittura beccato un abbinamento con un doppio cicchetto alle mele ed alle arance siciliane e devo dirti che arrivo all’ultimo brano commosso e carico: ben vengano quindi i lievi ruggiti strumentali di You can give it(but you can’t take it), i suoi ganci melodici e la spinta a muovere la testa. Centro pieno per il quartetto, bontà del singolo confermato e speranza di vederle prima o poi battere qualche palco, sono certo assicurerebbero una serata stupenda.