Ronin + Steffen Basho-Junghans – 14/07/06 Ortosonico (Giussago – PV)

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A volte nella vita si commettono errori di ripetizione.
Se per andare da A a B si passa per il resto dell'alfabeto una volta, la volta dopo si suppone che fare la strada breve aiuterebbe.
E, invece, reiteri l'errore.
E per la seconda volta rischi di perderti il primo set.
E si che sei anche partito da lontano e che questa serata promette di impregnare a lungo i tuoi vestiti e il legno dell'Ortosonico, mettendo, prima delle meritate vacanze, la parola fine alla stagione 2005/06.
L'errore di muovere alla volta di Pavia per andare all'Ortosonico sta diventando una piacevole abitudine, siamo ancora adesso in attesa dell'ufficializzazione dei loro programmi per la nuova stagione. Per conoscere le peripezie della banda dell'alfabeto che raggiunge l'Ortosonico, andatevi a leggere la recensione del concerto di Daedelus, cambiate solo data e immaginateci ancora lì a ripetere.
Questa volta siamo arrivati in orario.
E ci siamo goduti due concerti due di grande valore.
Steffen Basho-Junghans - Foto di Gianmaria Aprile - http://www.fratto9.com Inizia, mettendo in evidente imbarazzo i Ronin, Steffen Basho-Junghans. Vuole aprire lui per loro e, tra il caldo e le zanzare, sembra quasi emozionato. Uno degli eredi della tradizione di John Fahey si presenta sul palco come un figurino tondeggiante con due chitarre ai piedi, una a sei e l'altra a dodici corde. Le alterna, se non erro, un pezzo ciascuna. Le melodie della tradizione americana si alternano a passaggi degni della formazione classica chitarristica europea; la parte del leone, però, la fanno i momenti più eterei, appesi lì in un evidente tentativo di costruire ambientazioni rarefatte che rapiscono gli ascoltatori, raccolti in un tale silenzio da poter sentire le zanzare volare. Tanto che tra un cambio e l'altro il tedesco ci regala un divertente brano ispirato a questi insetti appunto. Qui e là sbava lievemente, o così pare, scusato dalla calura e l'umidità che lo fanno sudare a fontanella, rendendogli quasi impraticabili i manici delle sue stesse chitarre. Peraltro, quasi maniacalmente, le asciuga e ripulisce costantemente. Un concerto prezioso e divertente che, nella ripetitività della formula a chitarra solista, nell'uso alternato dei due strumenti e nelle, a tratti, poco comprensibili fioche parole del musicista intrattiene ed entusiasma il pubblico.
Dopo aver approfittato per sentire alcuni passaggi del nuovo disco degli Ultraviolet Makes Me Sick, in registrazione in una splendida stanza al piano di sopra, attaccano i Ronin.
Ronin - Foto di Gianmaria Aprile - http://www.fratto9.com Anche loro visibilmente emozionati per aver avuto una tale apertura. Partono bene con il nuovo chitarrista, appena arrivato: arrangiamenti lievemente più asciutti, anche se qui e là la fisarmonica un po' manca, e sezione ritmica sempre serratissima. Il basso di Chet e la batteria di Enzo tengono banco emergendo sopra a tutto nella prima splendida anticipazione del nuovo disco: un brano ispirato alla musica etiope, che pare essere la nuova manna dopo lo sdoganamento fatto dagli Ex, dai ricchi incroci ritmici e il tiro decisamente intenso. Tra gag, "questo è il pezzo dove Chet si addormenta", e cavalcate morriconiane splendidamente suonate, si arriva in fondo al concerto, di una durata perfetta di tre quarti d'ora, consci che, ancora una volta, la combinazione di musica e ambientazione ha fatto il suo dovere; usciamo nel buio, si può proprio dire a rivedere le stelle, e guidiamo fino a Genova nella piacevole notte estiva, finalmente scoprendo che, repetita juvant, la strada che passa attraverso la Certosa di Pavia taglia di mezzora ed è dietro l'angolo.
Buono a sapersi per la prossima volta che ci si tornerà.
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