Romina Daniele – Aisthanomai. Il Dramma Della Coscienza (Polygram, 2008)

Partirò subito dicendo la cosa più scomoda, ovvero che si tratta di un disco in cui lo spettro di Diamanda Galas adombra tutto come la malattia appesta tutto e tutti in Aguirre Furore Di Dio o per rimanere in ambito musicale, come Lucifer Over London. Immagino che alcuni abbiano anche potuto pensare ad altre italiane che più o meno si cimentano con un tipo di influenza molto simile: Patrizia Oliva (Madame P) e Stefania Pedretti.
Anche se queste ultime diluiscono la fascinazione per Diamanda con giapponesismi assortiti, blues e musica a cappella per la prima e devianza un filo estrema per la seconda, la Daniele potrebbe esserne la risposta più contenuta e "elegante", inteso come connotazione di genere e non qualitativa (sarei invece curioso di vedere cimentarsi in questi campi Cristina Zavalloni). La Daniele sotto quest'aspetto è più contenuta e probabilmente molto più sobria oltre che più prodotta, spesso lo stile delle tracce si avvicina parecchio a dei livelli buoni, anche se l'estensione vocale non è la stessa dei riferimenti (ma anche comprensibile e mi scuso del parallelo); a giudicare dal risultato globale del lavoro neppure la devianza è simile a quella che porta la Galas a fare da catalizzatore di una serie di energie negative che la tengono in bilico fra il canto delle sirene e quello delle Erinni. Per Romina Daniele la base musicale è quella sacra quindi nonostante qualche intervento molto sottile di musica elettronica, il suono spesso si sviluppa su tappeti di organi o simili. La qualità e l'esecuzione sono buone anche se forse i riferimenti sono troppo marcati ed a livello di produzione alcuni riverberi si mangiano un po' troppo le dinamiche delle esecuzioni, soprattutto nei pezzi a cappella. In alcune tracce le buone capacità vocali ed un suono comunque discreto fanno sì che Aisthanomai risulti più che dignitoso, soprattutto là dove l'autrice flirta con uno stile di lettura da piece teatrali. A livello metrico la lingua in certi pezzi sembra più d'impaccio che d'aiuto, tanto da venirmi naturale pensare che forse cantando senza usare nessun linguaggio "classico" stile Meridith Monk e alcune cose di Cathy Barberian (e Paul Chain, perché no!) la renderebbe ancora più libera. Le atmosfere variano fra il sacro ed il buio e a volte sono quasi dark-industriali, là dove i pezzi vanno a fondo. La Daniele è molto brava, alcune tracce sono quasi pronte per colpire all'ascolto, ma manca ancora qualcosa, un po' per la scelta dei suoni nel mixaggio, un po' perché i riferimenti sono ancora troppo marcati tanto da render l'opera ancora un po’ acerba.