Robert Lippok – 27/10/2014 Santa Maria in Chiavica (VR)

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Scatta l’ora legale e, col favore delle tenebre, riparte la seconda stagione dell’associazione Morse; in realtà, contando l’ottimo Path Festival nel mese di agosto, i ragazzi non si sono mai davvero fermati, mettendo in piedi una programmazione che ha privilegiato la cura dei particolari alla frequenza: poche (ma non pochissime) cose ben fatte, insomma. In quest’ottica si riparte stasera con un ospite di riguardo, quel Robert Lippok fondatore dei redivivi To Rococo Rot e da tempo impegnato come solista.
La location è quella più frequentemente utilizzata, la chiesetta di Santa Maria in Chiavica, un luogo dove si torna sempre con piacere.  L’ambiente interno appare quasi vuoto, con le sedie ridotte a poche unità e qualche puf spartano sistemati ai piedi delle colonne: sulla carta è in effetti una serata che potrebbe prestarsi  a una fruizione in posizione eretta, per poter godere dei ritmi generati dalle muto__santa_maria_in_chiavicamacchine. A far gli onori di casa è, a sorpresa, M.uto (già lo ascoltammo all’Interzona di spalla ai Matmos), con un set che parte un po’ lento ma poi si dipana bene attraverso ambientazioni mutevoli: ambient, battiti dub, inserti quasi techno, un buon antipasto a ciò che sentiremo nel corso della serata. Lippok, che ha assistito all’apertura da posizione defilata, fa partire il proprio set in maniera straniante: un pezzo etno-pop, che all’inizio sembra essere semplicemente un riempitivo in attesa dell’inizio dell’esibizione, diventa invece la base per le prime incursioni ritmiche, che finiscono per dissolverlo. Sono subito i battiti a guadagnarsi la ribalta con accelerazioni ed improvvise pause, un andamento discontinuo che nega  ogni possibilità di abbandono, tanto più che i beat, dalle sonorità scopertamente di sintesi o metalliche, frantumano regolarmente i momenti più quietamente ambient o le fugaci melodie di synth. È un gioco sottile con l’ascoltatore, continuamente lippok__santa_maria_in_chiavica_2indotto a lasciarsi trascinare dal flusso e poi repentinamente scaricato. Lippok controlla tutto con un mouse e un visual sequencer mentre, sullo schermo issato sopra di lui, i prismi della copertina di Redsuperstructure mutano gradualmente colore, a ciclo continuo. La sua è musica che parla alla mente ma anche al corpo ed è un peccato che la maggior parte del pubblico la segua da seduto: l’impressione è che qualcosa si perda, mentre sarebbe stato bello percepire, anche attraverso il movimento, la partecipazione collettiva. Tra l’altro, pur rimanendo decisamente un suono inorganico, traslata dal vivo la sua musica diventa meno fredda e fa trasparire il tocco umano che governa la macchina. Verso la mezzora, alle irregolarità ritmiche della prima parte si sostituiscono ritmi più regolari e concitati, ma quando finalmente ci  sembra di aver preso le misure, tutto si spegne improvvisamente. Il tentativo d’applauso viene tuttavia soffocato dal subitaneo inizio di un nuovo brano, caratterizzato da sonorità decisamente ambient e pacifiche, a tratti sporcate da rumori tenui. Sensibilmente più lento del precedente e quasi rilassante, il pezzo viene scosso lippok__santa_maria_in_chiavica_1gradualmente da una rumorosa corrente sotterranea che ne increspa la superficie, mentre i battiti fugaci si organizzano in tappeti  sempre più compiuti fino a costruire il più classico ambient ritmico, non originalissimo ma ben orchestrato e d’effetto: mente e corpo che viaggiano all’unisono. A ribadire la dialettica umano-meccanico, verso la fine una voce in loop ripete meccanicamente un conteggio prima progressivo e poi a rovescio, roba degna del Conet Project; a questo punto la ritmica torna per un attimo padrona del campo, prima che le distese di synth ci conducano placidamente alla fine. Fine che è sancita da un breve discorso dove Lippok apprezzamento per la particolare location e ringrazia chi rende possibile eventi del genere. Speriamo che anche altri capiscano il valore della cosa.

Foto di Anna Mainenti