Rise Of The Stateless Wolf – Year Of The Snake (Italian Extreme Underground, 2022)

Il lupo apolide sorge di nuovo e, sulla lunga distanza, conferma quanto di buono detto in occasione dell’esordio, segnando anche un significativo passo avanti dal punto di vista stilistico: è un progresso coerente, che dà ai contenuti nuove e appropriate forme d’espressione, oltre ad aprire interessanti sviluppi futuri.
Pur mantenendosi in ambito culturalmente indoeuropeo, stavolta i Rise Of The Stateless Wolf sembrano evocare  forze ancora più antiche delle divinità che popolavano il demo: sono spiriti originari che abitano le steppe che dai piedi dell’Himalaya si spingono a occidente, oltre gli Urali, ben rappresentati dagli animali totemici e dai simboli che compaiono nella bellissima grafica curata da Coito Negato. Ribadiamolo: il terzetto biellese non è qua a vendere un qualche Kali Yuga a buon mercato né visioni apocalittiche per nichilisti d’accatto, ma nemmeno è vittima di un’ingenua fascinazione orientalista: quella che dà è la cruda visione di una realtà in cui agiscono potenze ancestrali e dove meditazione e azione, spirito e corpo sono indissolubilmente legati.
Ecco dunque Year Of The Snake, un disco sciamanico che si apre con i riti di purificazione celebrati da Fabio Oliviero dei Black/Lava – più un quarto elemento che un semplice ospite – al quale vanno ascritte tutte le parti elettroniche dell’album. Queste, nel precedente Born Dead/Year Of The Rat, rappresentavano il punto più debole del lavoro, ora invece diventano parte essenziale del tessuto sonoro e richiamano gli intermezzi rumorosi di Through Silver In Blood dei Neurosis. I Machine Head pre-sputtanamento e i Sepultura mutanti di Arise e Chaos A.D., vale a dire il thrash metal più tribale – adattato ai tempi con corpose iniezioni death/black e post-core – rimane un buon termine di paragone, ma qui i R.O.T.S.W. inseriscono anche rallentamenti sofferti e a tratti insostenibili, come dei Khanate più disciplinati (Year Of The Snake), arrivando talvolta a dissolvere la forma senza perdere peso specifico (Psychic Nomadism), o a creare momenti di tregua armata che hanno tutta l’aria della quiete prima della tempesta (Four Severed Hands, con la collaborazione di Angst). E infatti, non si fa in tempo a pensarlo che si è travolti dalla furia black-thrash di A.W.W.G., prima che i continui cambi di tempo di The Woodsman And The Corn God Ritual ci conducano al calderone industrial-noise di He Who Remains I e da lì alla fine.
Nella sua essenza questa è, lo accennavamo prima, musica sciamanica, perché il gruppo prima si immerge nel flusso sonoro e poi ne governa la furia, tanto che all’ascoltatore arriva qualcosa di ben più complesso di un lavoro di semplice impatto. Nonostante l’indiscutibile brutalità, Year Of The Snake non trasmette un’idea di catarsi, semmai di ascesi, di un’ascesi guerriera: si mette alla prova il corpo e si fortifica lo spirito per essere pronti alla quotidiana guerra dell’esistere.