Quello portato avanti da qualche anno a questa parte da Francesca Morello, in arte R.Y.F., è un discorso indiscutibilmente importante. Non solo per l’interessante ricerca in ambito elettronico o per il riscontro internazionale ricevuto, ma soprattutto per la qualità di un songwriting sempre più centrato e decisivo nel riversare l’esistenza in musica – il disco nasce proprio come metabolizzazione di un periodo particolarmente doloroso per la Nostra e dal conseguente desiderio di rinascita. Se gli ingredienti che innervano il suono di Deep Dark Blue sono gli stessi dei precedenti lavori, Everything Burns e Tutto Brucia, stavolta vengono tuttavia messi a fuoco con una sensibilità ancora più brillate.
Ritroviamo in un’ottica sempre più consapevole quella capacità per niente scontata di maneggiare una prorompente vocalità soul, spesso mescolandola con un’urgenza punk che ne sottolinea l’originalità. Emblematica da questo punto di vista Run Run Run, dove i tempi rallentati lasciano al cantato tutto lo spazio necessario per espandersi e saltare a colpi di beat drop. Evidenza che risalta anche nella magnetica stasi di Violent Hopes o nei vuoti pulsanti di December 25th, brani in cui sembra di sentire in controluce linee disegnate dal mai troppo compianto Martin Gore.
E ancora, la nota dimestichezza nel condurre senza paura assalti electroclash viene maggiormente raffinata dal lavoro di produzione, che qui dettaglia a dovere l’urlo anti-patriarcale di Smash And Destroy con un mix di garage surf e sfrenato impeto alla Pankow. Nel disco non manca nemmeno quella carnalità che sa essere tanto sensuale quanto sfrontata e ironica, come accade nel colorato dance punk di Lies, dove la Morelli utilizza un campione vocale di un suo orgasmo per creare una sezione del beat (pezzo ulteriormente arricchito dalla mano del sodale Matteo Vallicelli/The Soft Moon).
Come se non bastasse, l’album si avvale di collaborazioni di assoluto spessore e nate dalla pura stima reciproca. L’electro house sputata in faccia a omofobia e transfobia di Can I Can U viene impreziosita dall’autorità di Skin degli Skunk Anansie, una traccia potente che nell’inciso esplode rievocando con originalità i Depeche Mode dei ’90. Fanno invece il paio concettuale l’apripista e la traccia di chiusura dell’album: Blue sonda i fondali dell’animo umano anche grazie all’ottimo spoken word della cantautrice, poetessa e attivista statunitense Moor Mother, che piomba onirica tra pulsazioni hip hop a raccontare della voglia di ritrovare se stessi, mentre nell’ultima Deep Dark è il contributo sciamanico di Stefania Pedretti (moglie di Morelli e nota per i progetti Alos e OvO) a trasformare una distesa di paludi industriali in pura stregoneria sonora.
Un album riuscito che conferma la personalità forte e ormai ben riconoscibile della sua autrice.