Pulseprogramming – Charade Is Gold (Audraglint, 2011)

pulseprogramming

Ci eravamo lasciati otto anni fa con i Pulseprogramming: e chi si sarebbe immaginato fossero mai tornati. Sodapop nel suo originario e affezionatissimo layout "statico" li aveva già incensati: era il periodo dell'indietronica (quando ancora non suonava proprio una parolaccia), sonorità in grado di unire placidi beat a suoni glitch (pop) senza mai perdere di vista la forma canzone. Tulsa For One Second fu particolarmente apprezzato su queste pagine virtuali, magari un gradino sotto le incredibili uscite di quegli anni, penso ai vari Dntel o agli Hood di Cold House, fino ad arrivare al Give Up dei Postal Service, disco ormai sdoganato anni dopo persino dai manager quale "miglior ascolto per rilassarsi in auto, mentre siete in coda a Milano" (giuro: l'ho letto su una rivista patinata tipo Class o Mean's Healt in un qualche studio medico): meglio del ginseng e passiflora, altro che musicoterapia!
I Pulseprogramming si fecero anche apprezzare per l'impareggiabile packaging cartonato, che, assemblato in tre mosse rapide, diventava una casetta. Novità da segnalare per il gruppo di Chicago è purtroppo che del duo originario Hellner/Kriske è rimasto solo il singer Marc Hellner, affiancato per l'occasione dalla voce di Chanel Pease. Con una punta di nostalgia ascoltiamo le prime tracce e non si può non notare come il suono che esce dalle macchine, ottimo e curato come sempre, vira decisamente verso la musica elettronica e il synth pop anni ottanta, conservando però quella riuscitissima vena malincoinica e sognante che tanto aveva fatto tanto la fortuna di Tulsa…(You Mean By Magid per citare solo un pezzo). Certo le scorie wave, in questi anni di recupero matematico, hanno permeato anche i PP dopo tutti questi anni di silenzio e di ascolti ripetuti: aprire con l'atmosferica Perfect Problematic chiarisce da subito gli intenti del duo, come fossero dei futuribili Joy Division alle prese col laptop. Non posso fare a meno di pensare che il disco suona più o meno come quel misconosciuto progetto newyorkese di qualche anno fa dal nome Vitesse, sparito nel nulla, a scapito di altri nomi ben più trascurabili. I suoni sono perfetti, c'è il solito gran gusto che abbiamo imparato a conoscere comprese le suadenti voci, ottime per chi fatica ad alzarsi dal letto nei giorni piovosi di festa. L'album però, come era lecito aspettarsi, non sorprende più nessuno, in contesto in cui certe cose ormai le fanno tutti, e in tutte le salse e declinazioni possibili.