Avevo scritto, recensendo l’EP The Metal Machine dei Dish-Is-Nein, che quella era l’ultima occasione di ascoltare la chitarra di Dario Parisini, scomparso nel giugno del ’22. Mi sbagliavo: è qui che trovate le sue ultime incisioni, Nell’album che segna il ritorno dei Post Contemporary Corporation a 18 anni da Gerarchia Ordine Disciplina, periodo comunque non di totale assenza, costellato, com’è stato, dalla pubblicazione di singoli e raccolte. Fu nella seconda metà dei Novanta che Parisini, insieme Valerio Zecchini e Luca Oleastri, diede vita al progetto che oggi, in questo Patriottismo Psichedelico, ce li fa ascoltare insieme per l’ultima volta: pur raccogliendo materiale risalente a vari periodi (qualcosa addirittura dal primo EP, tutto comunque rivisto e aggiornato) l’album è opera fortemente coesa e coerente. Se si tratta, come nota acutamente Roberto Franco nel libretto, di “un omaggio e allo stesso tempo un’irrisione della cultura di destra”, non si può negare come il lavoro sia altresì capace, per toni e tematiche, di causare l’orticaria a più di un militante di sinistra. Usurate categorie novecentesche, se volete, ma che Post Contemporary Corporation utilizza (con totale spregiudicatezza) facendole deflagrare nel vuoto del presente: così le schegge finiscono per colpire tutti, senza distinzione.
D’altra parte, come non sentirsi chiamati in causa dall’apocalisse individuale e diffusa di Palingenesi Tardiva (“La cartella clinica ha parlato chiaro: sei malato! La dichiarazione dei redditi è stata chiarissima: sei povero! Il consesso delle tue amanti non ha avuto dubbi: disfunzione erettile!”), o trasportati a livelli superiori di coscienza dalle note e dalle parole di Nostalgia Unghiuta di Kuala Lumpur (“Deh, come rimpiango la solitudine mistica della vita nei grattacieli”, mentre la chitarra riscrive in chiave house il riff di Long Train Runnin’)? Forse preferite farvi trascinare, su una base industrial-metal memore dei Disciplinatha, dalle esortazioni in stile marinettiano di Pellegrini Dell’innocenza (Esortazione Agli Straccioni) o, risvegliati da un violoncello spigoloso, seguire pedissequamente le indicazioni per una nuova spiritualità di Avamposto Della Religiosità Visionaria (“Sculacciare il sacrestano recitando il rosario. Baciare sulla bocca i crocefissi. Non appena si veda una madonna piangere, asciugarle subito le lacrime con il kleenex”). Di sicuro, comunque, converrete che Heimat (Occidentali Esausti) sarebbe un magnifico inno dell’Unione Europea, ben più adatto dell’ormai illusorio e velleitario Inno Alla Gioia (“Tramonta così, rispettabile e senza pudore, l’Occidente osceno, turbato soltanto da soprassalti di follia sordida e implosiva”); tuttalpiù, potreste preferirgli la chitarra impazzita e le parole dolenti di Le Vostre Putride Esistenze Non valgono Una Cicca (E Neanche La Mia) (“E alla fine della fiera, mentre là fuori si muore di noia, nella deriva dell’oceano liberale, l’ufficiale giudiziario cosparge il mio corpo indifeso di petali di rosa e di cambiali in protesto”). Permettetemi, infine, di chiudere questa breve ed incompleta rassegna citando, per la bellezza del titolo e perché, stavolta davvero, si congeda da noi la maestosa chitarra di Dario Parisini, il monito millenarista di Bob Marley Era Una Brutta Persona.
In Patriottismo Psichedelico siamo lontani, nonostante superficiali somiglianze, dai concittadini Massimo Volume (se non forse nell’iniziale narrazione de La Giornata Di Un Nevrastenico, da una poesia di Dino Campana): le declamazioni impregnate di bolognesità del cosmopolita Zekkini – a metà fra teatro futurista e comizio fiumano – le musiche che, di volta in volta, assecondano o negano quanto espresso in testi che combinano alto e basso, linearità di ragionamento e paradosso, portano Post Contemporary Corporation a rianimare il corpo delle avanguardie, presentandocelo così com’è: un cadavere in ottima forma e proprio per questo ancor più disturbante e provocatorio. E potrebbe rianimare anche noi, risvegliando il pensiero, se solo fossimo disponibili ad accettare la sfida dell’ascolto.