Ritornano i rocker sardi e lo fanno con un disco che li vede ancora più raffinati, non tanto nel suono che per quanto compresso si mostra ancora più ruvido rispetto al disco d’esordio, quanto nella scrittura dei pezzi. Il gruppo annovera un ex Bron Y Aur ed in un certo senso ne raccoglie l’eredità dei primi lavori per portarla in un contesto più math-rock. Devo essere onesto, solitamente oltre a sembrarmi un suono trito e ritrito manca sempre di quel qualcosa che faccia staccare da alcuni alfieri anglofoni del genere, ma di tutti i gruppi che ho sentito praticare questi ambiti negli ultimi tempi i Plasma Expander sono senza dubbio fra i più credibili.
Melodie solitamente ariose e molto rockenrolla ma non solo rock, infatti quando c’è da aprire su spazi un po’ più dilatati anche loro sanno fare quello che devono e no ne fanno mistero. Per fare dei paralleli che magari qualcuno di voi si potrebbe ricordare o che comunque mi sembrano realistici, oltre che ai “soliti” Don Caballero (i primi) menzionerei Lustre King, Hurl, Dis- e comunque math di derivazione post-hardcore statunitense, anche se i nostri sardegnoli sono molto più figli dei riff di Hendrix, Page, Iommi e di gente cresciuta con dischi di quel periodo e con quel taglio. Quasi sempre ariosi e incisivi, sembrano il classico gruppo da far tremare i bicchieri sopra ai tavoli a suon di impennate e di sventagliate di Gibson diavoletto. Un bel pecorino (no, non pecorina amico uligano!) stagionato a dovere: gusto conosciuto, forte, ma sempre un bel mangiare.