Peter Piek – Cut Out The Dying Stuff (Solaris Empire/ Tron, 2014)

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Che personaggio interessante Peter Piek: dipinge fin da bambino – e ne ha fatto un lavoro -, suona da quando aveva 12 anni, è autore di libri di arte e fondatore di un Centro artistico-culturale, suona in giro per il mondo – da quasi due anni ininterrottamente – e canta pezzi in tedesco – Analyse -, cinese – (Ti O O) -, dedica canzoni a città – Girona – e a quartieri che l’hanno segnato – Brooklyn Lullaby -, fa ascoltare musica durante le sue mostre, fa vedere sue creazioni grafico-pittoriche durante i suoi concerti. La cosa che più mi colpisce di questo che è il suo terzo album però è la poliedricità che si fa colonna portante nei suoi pezzi che attraversano il cantautorato e lo celebrano – Left Room -, porgono sentiti omaggi a un poprock morbido – Cut Out The Dying Stuff – e non dimenticano brevi incursioni nell’elettronica minimal – Alive -. Peter Piek parla di amore a tutto tondo: per la musica, l’arte, la gente, le cose che vede, la vita; è uno dei pochi artisti entusiasti che conosco e mi piace tanto anche per questo. Per realizzare i suoi video, collabora con colleghi specializzati in altri campi, giusto per fare un esempio, qui c’è il clip di una traccia di Cut Out The Dying Stuff, dove regia, fotografia, costumi e musica fanno parte di uno stesso lavoro pur essendo frutto di contributi che provengono da differenti autori – una su tutti, Ari Fuchs che a me è piaciuta molto. Se avete voglia di dare un’occhiata, qui c’è il suo sito. Se qualcuno se lo chiedesse, Peter Piek è tedesco – secondo me hanno una marcia in più -, giovane, vive e lavora a Lipsia – che è una citta strabella – e ha suonato con John Elliot, Appaloosa – mica niente – e i Naked Lunch  – che sono un altra band tedesca di quelle storiche per l’indie teutonico e, siccome per me sono pure pezz’e core, vi linko (tipo bonus) un pezzo vecchissimo che mi piaceva esageratamente (e via di nota nostalgico-autobiografica) -.