Perrate – Tres Golpes (El Volcán / Lovemonk 2022)

Perrate è un musicista andaluso di dinastia flamenca, con musicisti e ballerini che lo hanno accompagnato per tutta la vita. A 58 tira fuori un disco che è un vero portento. La voce è vera, arcaica, rappresentativa di un popolo e delle sue rughe. Quando canta, in secondo ai cori ed al battito delle mani altrui, sembra venga veramente da un’altra epoca e da un altro mondo. Conosco l’Andalusia per esserci stato diverse volte da giovinetto, ed è stata casa di mio fratello per un tot. Posso solo immaginare cosa possa diventare un’esibizione di Perrate nella Feria cittadina del mese di aprile (casette alcoliche, musica ininterrotta, balli e vestiti tradizionali) mentre posso confermare che su disco ogni battito di mano ed ogni alito si sente come fosse uno schiaffo sudato, intriso di secoli di cultura. Prodotto da Raul Refree (che ricordiamo come autore di alcuni dei dischi più interessanti degli ultimi anni, in solo ed insieme a Lee Ranaldo, Lina, Richard Youngs e Fermin Muguruza) lavora di chiaroscuri intensi e di profondità, con fiati e piani su più livelli a mostrare spazi in cui non arriva la chitarra, arma ovviamente prediletta dal nostro e mossa con un piede nella tradizione ed uno in una pozza di alcol ed avanguardia. In alcuni momenti i vocalizzi sembrano perdere qualsiasi attacco al linguaggio e si muovono come puro suono rurale espressivo, in un’intensità difficilmente paragonabile ad altre musiche ed il nostro ci accompagna in percorsi impervi e tragici, con voci femminili che si rifanno a cori antichi come moniti rendendoci attenti ed accorti, su terreni che non conosciamo e che dovremmo temere.
A tratti l’ambiente si alleggerisce, con l’handclap di Arda la Casa De Cupido, ma nonostante le grida di allegria nel brano il sottotesto sembra tutt’altro che spensierato.
A sentirsi forte, dietro la presenza di Tomas de Perrate, è lo stuolo di collaboratori che riescono a creare di volta in volta un ambiente popolare di seguito e di sostegno. In Melisenda Insomne riprende l’inno della comunità sabbatiana, in una storia di disobbedienza civile e religiosa che viene riportata con un’intensità ed una suadenza da non poco. I riferimenti letterali e culturali di questo disco sono ampi ed approfonditi, seguendo le note di copertina ci ritrova circondati da veri e propri viaggi nel tempo quasi oppressi da un suono e da un’intensità limpida e vera, un gorgo di suono del quale si possono sentire le radici ed i grumi. I tocchi delle corde e le vene del collo di Tomas. Quando invece si sceglie una via più limpida la chitarra di Tomas sembra diventare una serpe veloce, pronta a morderti dietro le orecchie senza lasciare scampo all’ascoltatore, con una tecnica che non appare mai ridondante ma assolutamente consona al racconto ed al modo dei brani. Un album per certi versi sorprendente, torbato e con un’intensità impagabile. Fidatevi ed immergetevi in questo mondo, non ve ne pentirete!