Casualità e sorpresa hanno da sempre un ruolo incontrovertibile nelle nostre esistenze. La più piccol a zione può essere soggetta a declinazioni e peripezie di ogni sorta.
Pensate alla passeggiata: la cosa più semplice del mondo.
Uscire, incontrare il mondo, la natura, le zone discoste.
Pesaggi bucolici, idilliaci.
Feroci disastri e ridefinizioni della propria grandezza e del proprio peso di fronte al paesaggio.
Penso a Paul Beauchamp passeggiando.
Ho pochi esempi a supporto dell’immagine dell’uomo solitario che va vagolando.
Robert Walser, Jean-Henri Fabre e mio fratello Loris.
Ma Paul, Paul riesce in questo Wander ad essere catalizzatore per forze concentriche, forze che sono espresse da suoni improvvisati riprocessati utilizzando diverse tecniche.
Paul rimane fermo ma crea movimento, correnti e processi dinamici che ci calano in un flusso sonoro sporco e reale. Suoni che sembrano essere rubati da vecchi distretti manifatturieri e che ci lasciano immersi in una vorticosa operatività. Il suono cambia lentamente, ti avvolge in grandi spirali fino alle porte della fornace. Dopo uno scarso quarto d’ora l’ottica cambia, arrivano crepitii e forni a delineare uno scenario di tensione e di intensità che ci portano verso scenari paganistici e carnali. Siamo alle viscere del suono, sulla fiamma madre, dove la materia si scompone e si ridefinisce. Beauchamp riesce a sventagliare delle discrete mazzate a chi si aspettava un lavoro monotematico, dimostrando di saper cambiare scenario in un’opera sui generis aperta e profonda, proprio come una brutta ferita. Che dire insomma di questa passeggiata? Non la prendete sottogamba, preparate le provviste (per conto mio macarons, amaro valtellinese, caffe ed acqua), buttatevici a capofitto.
Prima o poi, Paul volendo, ne riemergerete.