Paolo Angeli – Nijar (RER, 2023)

Nijar è una cittadina andalusa di curca 30mila persone. Qui si svolsero le nozze di sangue nel 1928, che ispirarono il dramma omonimo di Federico Garcia Lorca preparato cinque anni dopo. Amore, morte, legami talvolta indissolubili e per lo più tragici. Al-Andalus, la Spagna islamica, che ivi scorrazzarono finendo, inevitabilmente, in Sicilia ed in Sardegna. Propro da qui parte Paolo Angeli, ormai un’istituzione della chitarra sarda preparata che però, disco dopo disco, si dimostra musicista in grado di sfuggire a qualsiasi tipo di classificazione. In questa operazione, parlando la lingua flamenca, visto e considerato il fatto che viva a Valencia da 6 anni, il primo parallelo che si puô lanciare è quello con l’acquatico Raul Refree (mille collaborazioni, da Lina a Lee Ranaldo un dna che erutta e si trasforma come la propria tradizione in ogni disco), per la capacità di travalicare gli steccati tradizionali e far, letteralmente, volare la musica (in Ramas De Suenos si prende letteralmente il volo in un cielo periglioso ed oscuro).
A questo schema, dopo acqua ed aria, tenendo come fuoco il flamenco stesso, la terra non può che essere quella di Perrate, che con l’ultimo Tres Golpes ha chiarito quali siano le radici ed i legami con dei corpi che possono letteralmente trasformarsi in materia territoriale.
Paolo Angeli “toca” con mano leggera e drammatica, trasmettendo un senso di tensione e di languore all’avventura, le diatribe e le fughe della sposa, di Leonardo, della madre e dello sposo. La chitarra si muove sulle note con intenti di battaglia, quasi che i tocchi siano i pugni preliminari di un incontro fra pugili leggeri, con scariche veloci e precise senza essere mai definitive. Sotto a Jinete sentiamo lo scalpiccio di una cavallo, forse quello che accompana la fuga della sposa e di Leonardo. La chitarra si gonfia, quasi imbarcata da un umidità che sa di salsedine, mentre intorno scoppia quel che sembra un vero e proprio inferno. Tutto si solleva, mentre Paolo spinge sempre di più le strumentazioni al limite, fino ad aprire il paesaggio. Sembra bonaccia, forse il peggio è ormai passato e le atmosfere si trasformano in quel che sembra essere un placido western al tramonto. In Rama Oscura, sono colpi e botte, quasi spaventosi, mentre una voce ci accoglie in Monologo de la luna, femminile, liquida. Le voci sembrano essere presenze misteriosi ed impalpabili, come venti costieri o vapori terreni, difficile dirlo. Sicuramente però trasmettono le assenze e lo struggimento di familiari ed amanti, struggimento che può facilmente diventare urlo, follia gridata e pianta alla luna. Con Sucia Arena sembra di percepire ormai la perdita ed il rassenerarsi dello sconforto, degli amanti che, per passione e per amore decidono che, non potendo rimanere insieme, la vita non valga la pena di essere vissuta. La sabbia si sporca di sangue e capiamo che quanto successo non potrà essere cambiato. A Garcia Lorca è direttamente titolato il penultimo brano, che suona come un luminoso e sincero commiato. Chiude Télon, mani e corde mobili e volanti a dimostrare l’ennesimo viaggio di un musicista magico.