Ovo/Rotadefero – Secondo Coro Delle Lavandaie (Rota Records, 2024)

Anche Ovo e Rotadefero – come già Mai Mai Mai e Maria Violenza in un singolo uscito, solo in digitale, nel 2020 – arrivano a confrontarsi con la rivisitazione di un’antica canzone partenopea, risalente forse al XIII secolo. Passata attraverso diverse interpretazioni e riscritture, Il Coro delle Lavandaie trova la sua forma più nota e compiuta grazie a Roberto De Simone, che la inserisce nell’opera teatrale La Gatta Cenerentola del 1976.
È dunque un brano con un’identità ben definita, per quanto multiforme – un po’ filastrocca stregonesca, un po’ canto di protesta – quella che i due gruppi interpretano in questo 10”: lo fanno ciascuno secondo il proprio stile, ma senza stravolgerla.
Con gli Ovo, che ospitano Tiziana Carnevale alla voce, il pezzo è rinominato Secondo Covo Delle Lavandaie e naviga nel mare livido del metallo tribale, con ritmi, umani e sintetici, che saturano lo spazio e i bordoni di chitarra e i vocalizzi di Stefania Pedretti che appesantiscono e sporcano l’atmosfera, culminando in una sorta di sabba metropolitano.
Rotadefero, che oltre ai due ex Concrete Tommaso Garavini e Cristiano D’Innocenti schiera Giacomo Del Colle (pianista classico contemporaneo che so come sia finito qui in mezzo), si avvale della collaborazione alla voce di Dominga Colonna e, manco a dirlo, rinomina la propria versione Lavandaiedefero: qui l’atmosfera è meno cupa, con battiti dub e intermezzi in crescendo di rumore concreto (ma a un certo punto fa capolino anche un flebile melodia); l’idea che si ha è quella di un insolito baccanale.
Verrebbe da dire che, del brano originale, gli Ovo interpretano lo spirito più magico e stregonesco, i Rotadefero quello più concreto e politico; ad accomunare le due versioni le notevoli performance delle cantanti, che rubano la scena ai musicisti marchiando a fuoco, con la loro espressività, entrambe rielaborazioni.
A riequilibrare un po’ la faccenda ci pensa Secondo Coro Delle Lavandaie, traccia presente solo in digitale, che sovrappone e cuce insieme le due versioni, compensando, con l’alto peso specifico di droni associati a rumori metallici, l’esuberante vocalità delle interpreti.
Alla fine, tuttavia, la sorpresa maggiore arriva riascoltando la versione originale, che fu registrata con l’aiuto della Nuova Compagnia Di Canto Popolare; l’enfasi percussiva fra l’ipnotico e il marziale, l’orgogliosa aggressività del cantato, la vitalità prorompente della cultura popolare: era già tutto lì! A maggior ragione, quindi, un’operazione di questo tipo ha il valore meritorio di riscoprire, rielaborare e tramandare l’eredità di una musica capace di essere – pare impensabile di questi tempi – genuinamente popolare e al contempo lontana da ogni moda e compromesso.