Oneida + Lucertulas – 10/08/09 Malafly (Verona)

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Era molto atteso il ritorno degli Oneida, dopo la pazzesca esibizione al No Silenz festival di due anni fa. Attesa carica anche di un certo timore: la prova di allora fu, per forza di cose, assai mitizzata e confrontarsi con un mito non è mai cosa facile. Inoltre, da un gruppo così eclettico non si sa mai cosa aspettarsi, né come genere (pop, seppur anomalo? Psichedelia? Altro?), nè come resa. Assurdamente, il concerto avvallerà tutte le ipotesi e ahimè, i peggiori timori. Inizialmente, comunque, a distrarci da tali pensieri è il concerto dei veneti Lucertulas. Distrarci… Diciamo piuttosto scuoterci.
Superati gli iniziali problemi con le spie, i tre ci riversano con spietata efferatezza una colata di distorsioni che spinge i più deboli a coprirsi le orecchie con le mai, nel vano tentativo di attutire la massa sonora. Noise come lo farebbero gli Helmet se fossero nati al tempo del free jazz, con la voce, quasi sommersa, a punteggiare i rari passaggi meno caotici, prima di venire nuovamente risucchiata dai vorticosi giri strumentali. Non guasterebbe, di tanto in tanto, una seconda chitarra a dar man forte nei momenti solisti, ma mi rendo conto che sto cercando il famosissimo pelo dell'uovo e tutto sommato una certa secchezza quasi blues, in certi momenti è d'aiuto, fa tirare il fiato. Sul finale ci propongono anche alcuni pezzi nuovi che faranno parte del CD in uscita a novembre per Robotradio: decisamente promette bene.
oneidalucertolasliveGli Oneida, nel frattempo, sono stati visti aggirarsi della festa, il batterista con le inseparabili bacchette, senza cui, si dice, sia fin impossibilitato a respirare. Arrivato il loro momento, si accomodano sul palco, provano brevemente gli strumenti e si ritirano dietro le quinte per il consueto rito pre-concerto, il gruppo abbracciato in tondo a caricarsi; stasera, forse, nel cerchio magico, gira pure qualche bottiglia di troppo. Risalgono e partono: trenta, allucinanti minuti non-stop di improvvisazione strumentale fra kraut rock, Pink Floyd e i Sonic Youth meno controllati; detto così potrebbe apparire anche figo, ma la cosa assume fin da subito tratti fantozziani, col gruppo che parte per la tangente e il pubblico che rimane al palo. Il batterista, epilettico, macina imperterrito sempre lo stesso tempo, i due chitarristi si scambiano occhiatine e sorrisini (no, non pensate male…) e qualche volta brevi cortesie strumentali, il secondo tastierista, apparentemente autistico, batte sui tasti senza che il suo lavoro, nel marasma generale, sia particolarmente udibile. Gran Maestro a honorem dell'ordine del Valpolicella, Bobby Matador imperversa con sguardo assente: ora tortura il Farfisa con ritmi ipnotici, ora si contorce sul basso estraendo a volte buoni groove, alter orrendi rumoracci. Tuttavia, a privarlo della corona di reuccio di questa prima tranche di concerto è il fonico del gruppo che, con geniale gesto punk/sitauzionista, manda letteralmente in fumo quattro subwoofer nel giro di cinque minuti (uno ogni 75 secondi, ed è record!), un mastro piromane che farebbe invidia al Conte Grishnackh. Il suono del gruppo ne esce inevitabilmente azzoppato e questo handicap che lo porteremo dietro per tutto il concerto: grazie signore, grazie, oneidalucertolaslive2come potremo mai sdebitarci? Tornando al palco, l'impressione che noi attoniti presenti abbiamo, è quella di assistere al finale di una performance, piuttosto che all'inizio: strumenti tirati allo spasimo, gente che si contorce come stesse dando fondo alle ultime energie, musica che sfocia spesso nel rumore. E anche se i paragoni che ho citato in apertura sono altisonanti, qui lo spettacolo non è sempre all'altezza, scadendo spesso nella noia, che la perizia tecnica degli Oneida, paradossalmente aggrava, spingendoli ben oltre i limiti della dovuta moderazione.
Com'è ovvio, un biglietto da visita del genere non aiuta certo a scaldare il pubblico, né a coinvolgerlo: già disposti piuttosto distanti dal palco e con in prima fila una serie di zombie impalati a far riprese col videofonino, oggetto che volentieri manderei al macero insieme ai proprietari, molti dei presenti si defilano. Se da parte del gruppo si tratti di sincero, seppur spaventosamente snob, spirito artistico o pura stronzaggine alcolica è domanda destinata a restare senza risposta, e comunque oziosa.
Quelli che hanno resistito in questa salita al Calvario hanno ora l'onore di assistere all'arrivo delle canzoni. Prima mediato, strofe-ritornello che si sciolgono in lunghe code strumentali, finalmente a fuoco (e stavolta il fonico piromane non c'entra nulla), poi sempre più strutturate, tratte dal repertorio maggiormente rock dell'ultimo album: ritmiche possenti, groove, chitarre in primo piano. Ma è tardi, in tutti i sensi. Troppo lo svantaggio accumulato nella prima frazione di gioco per sperare nella vittoria; ad essere generosi, si tratta di uno stiracchiato e poco meritato pareggio.