Come avrete intuito dal titolo Nicola Ratti è il chitarrista dei Ronin, questo lo dico per quelli che non sono a conoscenza delle sue sue cose meno pop, del suo passato con i Pin Pin Sugar e di un presente dedicata al live electronics. Ratti ormai è su dei livelli sorprendenti, potrei dire che insieme ad Andrea Belfi, Giuseppe Ielasi, Claudio Rocchetti, Luca Sigurtà e Alessandro Bosetti, sia uno dei nomi italiani più conosciuti all’estero. Una veloce ricognizione del suo sito (www.nicolaratti.com) potrà chiarire ogni dubbio sul fatto che nulla di ciò che ho scritto risulti esagerato. Quando si dice che qualcuno è “sul pezzo”, beh, Ratti probabilmente è quel qualcuno: ultimamente fra spruzzate di beat quasi techno drone e melodie che trovano spazio in intelaiature ritmiche mai scontate, il lombardo sta dimostrando che quello di Ielasi non è un caso isolato. Credo che le sue parole saranno più che chiarificatrici su chi sia, da dove venga e dove si diriga.
SODAPOP: Da ragazzino eri un metallaro che ascoltava gli Extrema e i Pantera, esatto? com’è che sei passato al jazzcore (senza manco transitare nel punk) dei Pin Pin Sugar, poi alle ballate desertiche dei Ronin, per non parlare dei dischi con Giuseppe Ielasi e dei tuoi lavori in solo?
NICOLA: Far Beyond Driven dei Pantera è sempre in macchina, lo ascolto spesso ad alto volume quando guido da solo. Poi magari ascolto di seguito Sentimental Favourites di Andrew Pekler, e in questa alternanza non ci vedo alcuna soluzione di continuità. Questo per spiegare che il mio è un percorso personalmente coerente e se consideri quanto anni sono passati da Latex Duellos dei Pin Pin Sugar (2003) a Streengs (2012) mi sembra normale, e in qualche modo in linea con una naturale evoluzione e crescita artistica, aver fatto passare molta acqua sotto i ponti.
SODAPOP: Fino a poco tempo fa hai fatto l’architetto, ora ti sei dedicato fulltime alla musica. In tempi di crisi come questa ci vuole un bel coraggio, il che mi fa domandare se hai un paiolo pieno d’oro sotto casa, un fantomatico piano B nel caso le cose andassero male oppure un elevato livello d’inconscienza? E cosa significa vivere di musica alle soglie del 2013?
NICOLA: Tempi duri, è vero. Per tutti però, ovvero non che facendo l’architetto stessi diventando ricco… La mia non è stata una scelta così naive da considerare possibile un romantico auto-sostentamento con soli dischi e concerti. Ho fatto delle scelte accessorie che mi consentono di farcela con più facilità, tipo lasciare la casa in affitto a Milano e trasferirmi dove sono cresciuto (un posto x dell’hinterland milanese), immaginarmi e costruire nuovi progetti che hanno a che fare con il suono ma che non sono necessariamente legati al suonare, o sondare delle prospettive future più strutturate ma comunque sempre legate a ciò che a 33 anni (li mortacci miei) ho finalmente capito mi interessa più di ogni altra cosa. In questo il fatto di non essere legato ad un signolo strumento o ad un singolo ambiente musicale mi aiuta molto aprendo diverse strade (e ovviamente penalizzandomi in altre).
Se tra un po’ tutto ciò non dovesse funzionare tornerò ad un altro lavoro qualsiasi (architetto, cameriere, commesso, etc) ma almeno una volta ho provato e ho scelto. (Banalità#1)
SODAPOP: Molti ti conoscono come “il chitarrista dei Ronin” ma ho notato che per i tuo lavori in solo hai abbandonato completamente la chitarra per molta elettronica suonata e un corodofono. A tratti ormai ti trovo più vicino a gente del giro elettronico “suonato” (Oren Ambarchi, Steve Roden, Giuseppe Ielasi, Dean Roberts).
NICOLA: Si, hai ragione. Aggiungerei anche che pochi frequentano l’una e l’altra “scena” sia come musicisti che spettatori quindi talvolta mi sembra di avere due vite musicali separate, ma non è assolutamente vero. La mia scelta di abbandonare la chitarra nel mio percorso di ricerca personale è dovuta ad una necessità molto impellente di sperimentazione, rinnovamento e scoperta che poi considero i motori del mio lavoro. La chitarra era un po’ limitante da questo punto di vista, anche se ultimamente per i medesimi motivi sopra citati sto riprendendo in mano lo strumento utilizzandolo però all’interno dei miei modi di fare ed in comunione con gli altri strumenti che da qualche anno utilizzo (synth modulari, trasduttori…). Lo sto facendo con una chitarra acustica dal momento che ho sentito un bisogno di “acusticità” e fisicità del suono, un bisogno di ridurre molto la distanza tra me e il suono che produco (tu che giri con le tue dita un potenziometro e senti il risultato di questa azione uscire dal P.A.).
La dimensione di gruppo mi piace molto e mi dispiace che questa venga soddisfatta solo nei Ronin, vorrei lavorare di nuovo sulla forma canzone (non necessariamente cantata) ora che sono più adulto e sicuramente presentandomi come chitarrista. Comunque sono sempre io che mi trovi dietro un tavolo imbandito di cavi e oscillatori o su un palco con una chitarra in braccio, lo dico perchè per un certo periodo ho vissuto questa ambivalenza come una dicotomia fastidiosa più che come due facce della stessa medaglia.
SODAPOP: Credo che molti lettori non siano a conoscenza del fatto che tu abbia collaborato con con musicisti piuttosto conosciuti come Giuseppe Ielasi e del fatto che tu abbia suonato parecchio anche all’estero. Puoi gettare un po’ di luce sul tuo recente passato e parlare di tutti i gruppi in cui sei attualmente coinvolto?
NICOLA: Con Giuseppe ho prodotto una serie di album a nome Bellows dei quali l’ultimo (Reelin’) uscito per l’inglese Entr’acte. L’altra collaborazione continuativa che ho è con Attila Faravelli a nome FaravelliRatti, un disco su Boring Machines/Corilis Sounds e ultimamente siamo un duo maggiormente orientato sulla ricerca sonora dal vivo (installazioni, site-specific performance…). Poi ci sono i già citati Ronin.
Mi è capitato ultimamente di collaborare con il canadese Mark Templeton conosciuto qualche anno fa in quanto colleghi di etichetta (la newyorkese Anticipate) su di un lavoro di sound art inerente alcune riflessioni sugli spazi urbani della mia citta e della sua (Edmonton). Suonare all’estero o avere collaborazioni e pubblicazioni al di fuori del nostro paese non è un fatto eccezionale, è abbastanza normale in questo ambiente musicale, non si tratta infatti di gruppi con canzoni magari in italiano magari superfamosi in patria che poi varcano le alpi e si ritrovano un pubblico di italiani in erasmus.
SODAPOP: Credi che in questo momento storico di crisi e di stasi la musica, sopratutto quella di ricerca, riceva meno attenzione rispetto al passato? E se sì, è per una qualità effettivamente più bassa o perchè siamo in un era di revival (consci e non) in cui degli over 30 (per non dire over 40) vogliono continuare a riascoltare lo stesso disco?
NICOLA: Il momento storico influisce poco sulla vita della musica sperimentale, certo la gente ai concerti è sempre meno, è sempre più difficile trovare delle date pagate decentemente e con i dischi nessuno (sia chi li fa che chi li produce) diventa ricco. Però il mercato discografico (se così si può chiamare) della musica di ricerca è anche arrivato ad una saturazione e sovrapproduzione notevole, insomma non è solo che la gente compra veramente pochi dischi ma anche che di dischi ce ne sono troppi. Prima di pubblicare qualcosa si dovrebbe applicare maggiore autocritica e chiedersi quanto senso abbia farlo. C’è sempre qualcuno disposto a pubblicare un tuo lavoro sia fisicamente che (ancora più facile) in versione digitale per poi lamentarsi di una scarsa copertura della stampa, della mancata recensione etc… Forse si dovrebbe prendere un po’ più di tempo ad ascoltare ciò che è già stato stampato prima di stamparne un altro. Per forza di cose la qualità risulta annacquata, su dieci dischi che compro o ricevo ne riascolto solo un paio non perchè io sia un critico di fama ma perchè, e qui forse entra il revival, molte produzioni non hanno senso di essere riascoltate, sono degli oggetti talmente legati ad un momento singolo, un evento che possono vivere nel tuo stereo anche una volta soltanto.
SODAPOP: Al di là dei Ronin non si può certo dire tu sia l’alfiere della musica “facile”, suoni qualcosa che è più facile trovi un suo pubblico in un ascolto casalingo oppure all’interno di contesti molto particolari a finire con le gallerie d’arte. Puoi spiegare qual’è la soddisfazione nel suonare una musica un cui è raro che ti trovi di fronte a folle acclamanti e a party “coca-sulle-tette”?
NICOLA: Figurati che per alcuni anche i Ronin sono difficili… basterebbe questa come risposta, però siccome internet è gratis continuo per due righe. Coca sulle tette e folle acclamanti? non so se è più soddisfacente avere un pubblico così oppure un pubblico meno numeroso ma che ascolta e si fa coinvolgere, manca veramente la capacità di concentrarsi per più di dieci minuti su qualcosa (un concerto in questo caso), siamo una società dello spettacolo che skippa la traccia dopo dieci secondi.
Poi la coca e le tette e le folle acclamanti non sarebbero male eh…
SODAPOP: Quali sono le più grandi soddisfazioni che ti sei tolto suonando e quali quelle le più grosse delusioni?
NICOLA: Mhhh, non saprei, forse è più un mix delle due cose e talvolta prevalgono l’una o l’altra. Nel senso che non mi sono mai trovato a riconoscere una piena soddisfazione o a patire un’amara delusione, è tutto molto più sfumato e per come sono fatto una volta ricevuto un sincero riconoscimento per un mio lavoro la mia parte distruttiva va immediatamente alla ricerca di colpe o qualsiasi altra cosa in grado di sminuire il lavoro fatto. Mi sembra di averti risposto quindi che ci può essere una soddisfazione che può essere allo stesso tempo una delusione, “tutto è il tutto e nel tutto ci sta tutto” (cit.).
SODAPOP: Cosa vorresti raggiungere con ciò che suoni, intendo dire, al di là di un sucesso in termini di pubblico o di un’adeguata remunerazione economica etc. Desideri semplicemente colpire la gente con le stesse cose da cui sei stato colpito? Speri di arrivare là dove nessuno è mai arrivato stile “enterprise”? o cos’altro?
NICOLA: Desidero fare una cosa che mi appaga prima di tutto e che poi possa piacere ovviamente. Ma ora vorrei cercare di essere più focalizzato e concentrato su quello che ho in testa e cercare di raggiungerlo, è un po’ arrivato il momento di giocare una puntata più alta, non si scherza più. Mi sembra a volte che la musica sperimentale sia un tentativo di musica, un’opera incompleta. Per quanto riguarda il rock invece non parliamone nemmeno, sembra che molti non si pongano nemmeno il problema e l’obiettivo di esprimere una personalità e quindi un disco o concerto che abbia senso di essere.
SODAPOP: “ok Italia…con troppa America sui manifesti” diceva Edoardo Bennato negli anni ’80, più o meno tu sei figlio della generazione cresciuta in quel periodo, esatto? So che sei amante di Wilco e di molta altra musica tradizionalmente americana, ma non trovo molte tracce di “american music” nel tuo lavoro, chi credi ti abbia influenzato di più?
NICOLA: Sì, hai ragione, non c’è molta traccia di america nella mia musica anche perchè credo che i nordamericani abbiano qualcosa da imparare riguardo la musica sperimentale da alcuni nomi della vecchia europa. Se parlassimo invece di rock si potrebbe dire il contrario (UK esclusa ovviamente). Mi piace molto ascoltare folk-rock-blues o rock sperimentale di nascita US, e rimanendo in america ho un debito con la musica brasiliana bossa, samba, tropicalismo (come Milton Nascimento, Tom Zé, Caetano Veloso, Vinicus De Moraes, etc), non so quanto questo possa influenzare il mio lato più astratto ma forse come chitarrista ne sono attratto, così come in riferimento alla scena rock statunitense. E visto che siamo in giro per il mondo apprezzo moltissimo le musiche tradizionali ma anche rock ’70 del continente africano e il mio interesse (come per le altre musiche del mondo) deriva unicamente da un ascolto di queste con le orecchie che ho da come mi si sono formate negli anni e non da interessi etnici e solidali, quando mi capita di avvertire questo taglio in quel tipo di proposte o performance mi viene una profonda tristezza circense.
SODAPOP: Cosa saresti disposto a cambiare nella tua musica o nel tuo modo di approcciarti al mestiere di musicista per poterci vivere?
NICOLA: La domanda non è tanto cosa sareti disposto a “cambiare” ma piuttosto cosa saresti disposto a “fare”. Nel senso che non sarei in grado di cambiare la mia musica, approccio e modalità per ottenere un fine prefissato che non mi appartenga (perchè è ovvio che per poterci vivere bene dovrei fare tutt’altra musica o essere molto molto più famoso di quello che sono). Di musica, con le dovute scelte accessorie (tipo tornare a vivere fuori Milano dove non pago un affitto, accettare anche lavori da architetto, vendere organi), un po’ ci vivo ma per ora è troppo poco e i guadagni devono aumentare nel corso di questo anno. Questo vuol dire che sono disposto a “fare” anche ciò che non mi aspetto ma a che fare con il suono per poter continuare a fare il musicista senza “cambiare” per questioni di guadagno. Forse è la stessa cosa.