Nicholas Krgovich – Ducks (Orindal, 2023)

Poi ci sono loro, i cantautori quelli bravi. Quelli che i media tendono a dimenticare, lontano dalla luce dei riflettori anche di nicchia. Vero è che escono troppi dischi e che segnalarli, ascoltarli ed acquistarli tutti è impensabile. Quelli che però, suonandoli, riempiono le casse ed il cuore dobbiamo cercare di promuoverli. Scoprii Nicholas Krgovich grazie ad un disco su Tin Angel una decina di anni fa e lo ritrovo ora beato fra le anatre, voce flautata, arrangiamenti mai banali. Robert Wyatt lo descrisse come “quite beautiful, very touching… human” e non mi sento di contraddirlo. Appartiene a quel gruppo, in cui potremmo metterci Nicholas Merz o Josh Thorpe: sembra suonare in un perenne mattino freddo ma sereno, tazza di caffè, una marimba in lontananza e la British Columbia a stendersi davanti a lui, quei vent’anni di carriera che gli danno quel mestiere scevro di automatismi ma colmo di qualità. Brani concentrati ed ariosi come una Cup Full che in poco più di due minuti dipinge mondi. Od una Scorpio Rising, a firma Grace Chen che cita Kenneth Anger. Nicolas gioca aprendosi a sud, dando spazio a minimi suoni e spunti che riportano ad una caduca insularità… dovuta forse dal fatto che, dalla costa di Vancouver, mirando a sud ovest, si vedano le Hawaii? Non saprei dirlo con certezza, quel che però posso supporre è che, vestaglia indossata, aria fresca fra i capelli e skyline di città e mare davanti agli occhi questo disco ha pochi rivali.
Il fatto che l’autore, partendo dallo spunto letterario del racconto Solitude di Ursula Le Guin per mostrarsi e declinarsi in 11 bozzetti solitari da a mio modo di vedere un quid poetico e tematico in più ad un lavoro che, date le premesse, ignorare sarebbe realmente un peccato.