Si festeggia il solstizio d’estate nei sotterranei del Ligera, un evento per pochi intimi caratterizzato da un’atmosfera rilassata e familiare. In programma quattro gruppi proveniente dai quattro angoli della penisola, per i quali Milano fa da ideale punto d’incontro: da ovest, Torino, arriva Fabrizio Modonese Palumbo, veneto è Devis Granziera del Teatro Satanico che insieme a Cosimo Mungheri, da Taranto, darà vita al collettivo Khem; Camerata Mediolanense fa gli onori casa.
Si parte un po’ tardi rispetto al previsto – e questo influirà, ahimè, sul mio grado d’attenzione man mano che si andrà verso la fine – con l’esibizione di Fabrizio Modonese Palumbo che, in camicia e cappello di paglia rosa shocking, veste i panni di (r): ai piedi del palco, con la sola chitarra ed effetti, dà vita a set breve e coinvolgete, cantautorato a tinte scure squarciato da inserti di chitarra avant. Decisamente meglio le parti cantate, sebbene gli strumentali siano utile a drammatizzare ulteriormente la rappresentazione: il suo è un folk intimo e cupo, malinconico ma capace di ruvidezze swansiane (come in Moira’s Hands, parecchio diversa dalla versione incisa); un’apertura di ottimo auspicio. Con Khem il cambio d’atmosfera è repentino: resta una voce protagonista, ma accompagnata dall’elettronica scarna e versatile di Granziera. Come ogni live che si rispetti dà qualcosa in più dell’ascolto dei dischi: non solamente la fisicità messa in campo da Mungheri, ma una visione più ampia dei riferimenti e degli intenti del progetto. Se ritroviamo la tensione socio-politica che ce li aveva fatto accostare ai CCC CNC NCN, la performance fa emergere anche una vena rock’n’roll alla Suicide e un retaggio HC non così scontati, il tutto riletto comunque in maniera personale. La performance è coinvolgente, passando dal salmodiare molto CCCP del pezzo d’apertura alle declamazioni di Pazienti Socialisti Khem e raggiungendo l’apice nella sorprendente cover (riletta ma nemmeno troppo stravolta) di Daddy Cool dei Boney M. e nel furioso finale di Aiwaz. Purtroppo durante l’esibizione fa la sua comparsa un metallaro rompicoglioni che non trova di meglio che sottolineare alcuni passaggi con urla gutturali e ululati, oltretutto regolarmente fuori tempo, buone forse per un concerto dei Deicide, ma decisamente inadatte al contesto di stasera. Il peggio comunque ha ancora da venire. Conclusa l’esibizione di Khem è tempo è per l’evento clou della serata: la Camerata Mediolanense presenterà in anteprima alcuni brani tratti dal lavoro di prossima pubblicazione Atalanta Fugiens, opera seicentesca del medico e alchimista tedesco Michael Maier. Schierati sul palco i quattro musicisti, Trevor e Manuel Aroldi alle percussioni, Elena Previdi e Marco Colombo alle tastiere, introducono le tre coriste che, in sobrio abito lungo, avanzano dal fondo della sala. I quattro brani eseguiti alternano atmosfere quiete ad altre più dense e sostenute: caratterizzato dal coro delle tre voci su un tappeto di tastiere il primo, epico il secondo, con la partecipazione di Colombo alla voce e i tamburi a scandire il tempo, nuovamente quieto e quasi liturgico il terzo, dove le tre tenori sono assolute protagoniste, eccezionale l’ultimo, con l’ugola di Carmen D’Onofrio che svetta su una base di elettronica austera e coi tamburi a scandire un ritmi lenti e marziali. Pochi pezzi intensissimi e in continuo crescendo, che fanno davvero ben sperare in vista del nuovo album. Unico neo le urla bestiali del prima citato troglodita, che per tutto il tempo irrompono nei momenti meno opportuni; nemmeno le parole e gli sguardi carichi d’odio di alcuni presenti valgono a riportarlo a più miti consigli, ma essendo sciocco rischiare la galera per sopprimerlo si è gioco forza costretti sopportarlo. Tornando comunque alla Camerata Mediolanense, secondo l’adagio per cui l’appetito vien mangiando, è difficile accontentarsi dopo aver assaporato tali delizie: ci vengono dunque regalati, come bis, una versione di Lo Gran Desire che dà diverse lunghezze alla pur valida versione del disco e una riproposizione del quarto brano in scaletta (immagino che il titolo sia Embryo Ventoso); poi è davvero finita, la mezzanotte è passata e, a mio parere, si è toccato l’apice, qualitativo ma anche emotivo, della serata. Chiedo dunque venia se, complice anche la stanchezza della giornata che comincia ad affiorare, la performance dei NG (Trevor alla chitarra, Giovanni Libracub al basso, Elena Previdi all’elettronica e Modonese Palumbo al violino elettrico) la seguo in modo un po’ distratto. Quel che percepisco è comunque buono (opinione confermatami da altri avventori più presenti di me): dal palco avvolto dal fumo arrivano strumentali dilatati ma densi, in bilico fra dark ambient e noise, che potrebbero ricordare dei Mogwai tinti di nero e, nei momenti più ritmici, i Godflesh di Songs Of Love And Hate. Psichedelia dark che avvolge e dona l’oblio, personalmente alquanto gradito. Circa un’ora di concerto che mette fine a una serata all’insegna dell’unità di spirito per nelle differenze di stile: Giano Bifronte, custode dei solstizi, sarà certamente soddisfatto.