Neurosis – 23/08/08 Mamamia (Senigallia – AN)

Pullula di uomini e donne in maglietta nera, Senigallia, già dal tardo pomeriggio. Il pubblico dei Neurosis piano piano prende possesso dell’area circostante il periferico (e indecentemente segnalato) Mamamia, lasciando ai ciuffuti nostalgici del Jamboree lo spazio del lungomare, dove poter scorrazzare coi loro ingombranti mezzi, più simili a funeree Jacuzzi ambulanti che non ad automobili. Il ritorno della band di Oakland dopo quasi nove anni è uno di quelli da non mancare e a sottolineare l’eccezionalità dell’evento è la presenza di facce note e meno note della scena post e hardcore: il pubblico delle grandi occasioni, per il gruppo che ha cresciuto almeno due generazioni di “noiser”. Lo spazio all’aperto del locale è immenso e l’effetto di dispersione della gente e purtroppo del suono è notevole. Qualcuno si accalca già sotto il palco in attesa dell’inizio, altri assediano il banchetto del merchandise, altri ancora, i più, si accomodano sulle colorate sdraio e si apprestano a godere dello spettacolo, almeno dei gruppi di supporto, da debita distanza. Sta ai tedeschi Ocean, in formazione rimaneggiata senza bassista, aprire le danze. L’ultimo disco non è male, intervallando il tipico noise-metal neurosisiano a momenti più classicamente rock e passaggi quasi ambientali. Ma stasera, al cospetto dei padrini, optano per un approccio frontale e meno vario, ottenendo solo di sembrare la copia crucca e malriuscita degli originali e quel che è peggio, dando l’impressione di eseguire un’unica canzone per tutti i quaranta minuti del set. Per quello che si è visto, trascurabili: la versione in studio lasciava presagire molto di più…
A Storm Of Light
è un terzetto che schiera alla chitarra e voce Josh Graham dei Battle of Mice e Blood and Time (nonché responsabile dei visual dei Neurosis) e che si cimenta in un rock lento scarnificato, se possibile una versione ancor più depressiva dei Neurosis stessi. Alle loro spalle scorrono immagini di acque vorticose e tempeste marine, coneurosis_senigallia2me animazioni dei quadri “sublimi” di William Turner. Nulla di innovativo ma, facendosi prendere dal vortice, è musica che sa regalare emozioni. Lo spazio aperto del Mamamia ne disperde un po’ la forza e per goderne appieno è necessario avvicinarsi e stringersi sotto al palco. Ma la maggior parte del pubblico si sta ancora risparmiando in attesa degli headliner. Eccoli.
Salgono sul palco uno a uno a sistemare cavi e strumenti, con Steve Von Till e Scott Kelly che sfoggiano, in contrasto con il “total black” imperante, due magliette rosso scuro, mentre Dave Edwardson ne indossa una dei Melvins che avrei volentieri fatto mia. Li avevo già visti dieci anni fa a Verona, durante il tour di Through Silver In Blood, all’apice del loro periodo metal noise: chi c’era allora, il giorno del giudizio universale non avrà che un semplice déjà vu. Stasera invece, almeno da parte mia, le aspettative sono basse: l’album nuovo è una copia bolsa dei Neurosis più metal-noise e l’ispirazione pare incanalata più nei mille progetti solisti (Harvestman, Blood And Time e i dischi a nome dei due chitarristi) che non nel gruppo madre. Dall’ora e un quarto di concerto ottengo molte conferme e qualche smentita. La scaletta, nelle prime battute, ricalca l’ordine del recente Given To The Rising: si parte con la canzone omonima e si prosegue con At The End Of The Road e Distill. Sullo sfondo, in austero bianco e nero, immagini di cavalli e lupi che corrono nella neve, demoni, fiamme. Suonano bene gli americani, precisi, convinti, non sembrano sentire il peso degli anni; giusto qualche decibel in più sarebbe stato utile a compensare la dispersione del suono causata dallo spazio aperto, ma non è cosa imputabile a loro. Al quarto pezzo però, qualcosa cambia; le proiezioni si colorano, rosso e giallo, colate di lava e metallo, crocifissioni e figure umane che si dimenano: è Locust Star. Fino a questo punto il concerto non era sembrato male: vuoi per l’attesa, vuoi per il carisma del quintetto, si viaggiava sulle ali dell’entusiasmo. Ma questa canzone cambia le carte in tavola, spazzando via quello che finora era stato fatto, dimostra come le vette che il gruppo sa ancora toccare, dal punto di vista della forza d’urto, sono ben altre e che la differenza la fa la qualità della scrittura, nettamente inferiore nei pezzi di Given To The Rising; peccato che le canzoni di quest’album occupino i due terzi della scaletta. Dopo un’esplosione del genere, To The Wind non può uscirne che con le ossa rotte, ed è ancora un pezzo del passato, a risollevare il livello della serata. La relativamente tranquilla Left To Wander ci avvolge e ci respinge nei meandri delle nuvole color bronzo che scorrono sullo schermo, psichedelia dura, suono che si espande in spazi desolati, e cozza contro improvvisi spuntoni di roccia. Un’apocalisse metabolizzata e messa in musica che è forse la situazione in cui, attualmente, il gruppo dà il meglio di sé. Due pezzi recenti, Fear And Sickness e Water Is Not Enough, regalano qualche sussulto, poi il suono pulito di una chitarra, intervallato da un suono come di campana e neurosis_senigallia corvi che disegnano traiettorie fra strutture metalliche sullo sfondo di un cielo plumbeo, annunciano Stones From The Sky. Se tutto il concerto fosse stato almeno prossimo a questi livelli, una canzone del genere avrebbe segnato l’apoteosi, il pezzo che ti lascia senza fiato. Invece, coi suoi arpeggi, il testo sussurrato, col suo vorticoso crescendo e la voce che si fa grido, Stones From The Sky resta un monumento al rimpianto di quello che questa serata avrebbe potuto essere, anche solo con una scaletta migliore. Dopo anni di assenza dai palchi italiani, un concerto riassuntivo delle puntate che ci siamo persi (in pratica i tour di A Sun That Never Sets e Eyes Of Every Storm) non sarebbe stato sgradito e avrebbe consentito l’esecuzione di canzoni che, allo stato attuale, valorizzano i Neurosis ben più dei pezzi del nuovo album. La serata si chiude con la musica registrata che impazza, Rage Against The Machine remixati sulla pista dedicata ai reduci del concerto, afro e giù di lì su quella degli altri. Sto un po’ a vedere, speranzoso che la compenetrazione fra culture diverse possa sfociare in una guerra rockettari vs. discotecari che avrebbe certamente dato un tocco di classe e sano divertimento alla serata. Ma non è più tempi di queste cose, evidentemente, e me ne torno a casa ulteriormente deluso.

(Foto di Matteo Bazzichi, http://loudanddissonance.blogspot.com)