A partire dall’ascolto del suo primo singolo da me ascoltato, Devoured by the sun, mi è subito sembrato chiaro che Arianna Pegoraro, con il suo progetto Physalia, fosse intensa e lucente. Una capacità di unire mondi in maniera del tutto personale. Ne ho quindi approfittato per scambiare due parole con l’autrice di Oniria, album prodotto da una sempre più sorprendente Okum.
Physalia: Devoured by the sun
Physalia è Arianna Pegoraro ma è anche un’insieme di artisti che hanno fatto emergere
Oniria. Manuel Volpe, Nicholas Remondino, Matteo Rizzo. Come ti sei unita a loro per
arrivare ad Oniria?
Ho conosciuto personalmente Nicholas Remondino qualche anno fa. La prima volta che l’ho sentito suonare sono rimasta incantata dalla sua espressività musicale e dalla ricerca
sonora che ha sviluppato. A quel tempo non era ancora nata in me l’idea di registrare un
disco. Negli anni ho composto diversi brani e quando li suonavo riuscivo a sentire la
stratificazione di suoni che avrei voluto inserire nell’arrangiamento e spesso mi tornavano
alla mente i suoni che avevo sentito eseguire in live da Nicholas. Sapevo che coinvolgerlo
nel progetto sarebbe stato prezioso, così gli ho mandato i miei brani e con entusiasmo
abbiamo iniziato a lavorare insieme a delle preproduzioni. Successivamente abbiamo
mandato le bozze a Manuel Volpe, che si è dimostrato molto interessato e mi ha proposto di produrre il disco. Mi reputo molto fortunata ad avere avuto la possibilità di lavorare con grandi musicisti che stimo molto. In fase di registrazione la presenza di Matteo Rizzo è stata molto importante, è un bravissimo ingegnere del suono e una persona piena di risorse.
Che cos’hai sognato questa notte Arianna?
Questa notte ho sognato una grande casa, gremita di persone vaganti. Mi trovavo in un
piccolo soggiorno dai colori chiari e spenti, quando è entrato un uomo che teneva per
mano una bambina, che sapevo essere sua figlia. Il signore ha acceso la radio e nella
stanza ha iniziato a diffondersi un brano che mi ha fatto piangere, era una canzone che ho
riconosciuto essere della mia infanzia, parlava dell’inverno. La seconda parte del sogno
diventava molto confusa e violenta, non vorrei scendere in dettagli macabri quindi mi
fermerò qui. I miei sogni sono quasi unicamente incubi, cosa che non mi dispiace, perché
quando sogno qualcosa di gioioso acquisisce una grande importanza per me.
Come si è svolto il processo di scrittura dei brani e come la loro condivisione e
realizzazione con la band che ti accompagna? Essendo Oniria il tuo debutto tutto si è
svolto come lo immaginavi?
Ogni brano ha avuto una genesi diversa e ha richiesto delle tempistiche differenti. Alcuni
brani del disco risalgono a molti anni fa, mentre altri sono più recenti. La strategia che
funziona per me è improvvisare. Tutte le canzoni sono nate da delle improvvisazioni libere
che nella maggior parte dei casi non ho sentito il bisogno di modificare, se non piccoli
accorgimenti sulla melodia. Per questo motivo i brani del disco hanno strutture diverse,
non convenzionali e spesso la melodia si appoggia su elementi ripetitivi. Ho apprezzato
molto la cura riposta in studio per ogni brano da parte di Manuel, Nicholas e Matteo. In
fase di registrazione abbiamo scelto di tagliare la struttura di alcuni brani per renderli più
brevi ed efficaci. Essendo una persona che ha bisogno di certezze, questo processo non è
stato facile ma mi è stato molto utile per imparare a lasciare andare e comprendere
l’importanza del mettersi al servizio della musica. Essendo un debutto non avevo
aspettative e mi sono approcciata nel modo più libero possibile, cosa che mi ha permesso
di essere ancor più soddisfatta del risultato finale.
Physalia è creatura marina, quasi magica, così come lo è il mondo dei sogni, Oniria. Che tipo di rapporto hai con la realtà, la fuga da essa e l’immaginazione? La musica ti trasporta altrove o ti permette di decifrare ed esprimere i tuoi vissuti?
Bellissima domanda, per poter dare una risposta che mi possa soddisfare dovrei scrivere
molto, cercherò di essere il più concisa possibile. Partendo dal presupposto che ognuno
ha una concezione diversa della realtà e che il modo in cui ci approcciamo ad essa
stabilisce la lente con cui noi decidiamo di guardarla, penso che il mio rapporto con essa
sia mutevole. Mi rendo conto che nella mia quotidianità compio spesso azioni che mi
portano a sfuggire da essa, come suonare, guardare un film o sognare. È in questo
“mondo altro” che sento di stare bene, ma allo stesso tempo più sono in contratto con
questa parte invisibile della mia persona, più riesco a vivere in armonia con ciò che mi
circonda. Vivendo in un mondo frenetico che ci richiede sempre più tempo per azioni
“inutili” per lo sviluppo del nostro essere, non è facile rimanere costantemente connessi
con questo canale. Quindi direi che più spazio ho a disposizione per l’esplorazione
dell’immaginifico, più sento di riuscire a tramutare ogni situazione del reale in un’occasione
di crescita. Penso che la carta vincente sia accettare che non è possibile sfuggire dalla
realtà perché qualsiasi situazione che possiamo sperimentare rientra sempre nella sfera
del reale. In tutto questo la musica ha una duplice funzione, sì di trasporto verso l’ignoto e
orizzonti sconosciuti ma che diventano simbolo per decifrare il vissuto reale. Una cosa non
esclude l’altra, anzi la alimenta.
Il mood dell’album è coerente con però delle specifiche, penso ad una On My Walls che sembra uscita da una Bristol lontana od una Nekyia, persa tra flutti e sirene. Quali sono stati i tuoi riferimenti artistici e visuali Arianna?
A livello di influenze musicali sento che sono stati molto importanti per me ascolti come i
Radiohead, Björk, Fiona Apple, PJ Harvey, i Blonde Redhead, Cat Power, Soap&Skin, fino ad arrivare al trip pop con i Massive Attack o i Portishead. A livello visivo la mia più grande
fonte d’ispirazione sono i miei sogni, dai quali attingo principalmente per la parte testuale.
Essendo una persona visiva trovo che questo aspetto sia molto importante per la mia
musica. Sono una grande appassionata di cinema d’autore e sperimentale, penso che
molti registi mi abbiano influenzata musicalmente a livello sensoriale. Ad esempio,
Devoured by the sun e Vertical eye sono canzoni nebbiose che mi portano alla mente la grana di Jonas Mekas, Phosphenes ed Invisible mi ricordano il grottesco di Jan Svankmajer o David Lynch. Mi piace molto associare le canzoni a dei colori o a degli elementi, ad esempio Nekyia ed Astral hurricanes sono brani molto acquatici, mentre Phosphenes ed Invisible sono legnose e appartenenti alla terra, On my walls è arancione mentre Chrysalis è cangiante. L’aspetto visivo mi aiuta a ricreare le atmosfere che visualizzo, soprattutto a livello vocale.
Il pianoforte ti accompagna da più di 20 anni. Quando hai capito e come che sarebbe stato lo strumento per permetterti di esordire legando a lui la tua voce?
Non è stata una scelta, è successo tutto in modo estremamente naturale. Per svariate
ragioni ho interrotto per qualche anno lo studio del pianoforte all’età di dieci anni, per poi
riprendere a suonare di nascosto, con le cuffie per non farmi sentire o quando non c’era
nessuno a casa. È sempre stato un mezzo molto importante per la mia necessità di
esprimermi. I miei primi esperimenti canori sono stati legati all’accompagnamento del
pianoforte da subito. Prima ancora di iniziare a prendere lezioni di canto avevo già scritto
delle canzoni. Mi rendevo conto di non aver alcun tipo di conoscenza del pianoforte
moderno e dell’armonia, perciò ho ripreso a studiare.
Dalle informazioni in mio possesso nella tua famiglia ci sono diversi musicisti classici: come hanno accolto Oniria? Che tipo di sguardo hanno avuto rispetto alla tua tangente?
Ho la fortuna di avere una famiglia che mi ha sempre sostenuta e appoggiata nelle mie
scelte di vita, sentire questo senso di fiducia nei miei confronti mi rende libera di
sperimentare ma allo stesso tempo mi fa rimanere con i piedi ben saldi a terra. Non avrei
mai pensato di intraprendere questa strada, ma ho imparato a non usare più la parola
“mai”, visto che ogni certezza che io abbia mai avuto non è durata a lungo. Ho notato che i
musicisti classici che hanno ascoltato Oniria, hanno apprezzato moltissimo Chrysalis, probabilmente il brano più complesso dal punto di vista armonico.
Che cosa ti aspetti ora? Che tipo di visione prevedi per Physalia? Ti vedremo dal vivo?
Con che formazione? Quali saranno i prossimi passi?
Il disco è stato accolto positivamente e di questo sono estremamente felice. Sicuramente
porteremo Oniria in live, attraverso un’esperienza di ascolto tra l’acustico e l’elettronico,
che cercherà di rievocare il suono sviluppato in studio, con il supporto del team Okum, con
Nicholas Remondino alla batteria, Manuel Volpe ai synth e Matteo Rizzo che curerà il
sonoro come fonico. Nei concerti troveranno spazio anche brani inediti che saranno
presenti in un futuro disco.
Grazie mille Arianna, disco stupendo!!!
Grazie a te per le domande molto stimolanti, sono felice che il disco ti sia piaciuto.