Metzengerstein – Albero Specchio (Sonic Meditations, 2013)

Avere la prima uscita della carriera per l’etichetta di Justin Wright (alias Expo ’70) è certamente un buon biglietto da visita, ma dev’essere anche piuttosto impegnativo. D’altra parte, se il nostro ha così repentinamente deciso di spendersi a favore del terzetto toscano (con gente degli Holy Hole in formazione), una buona ragione deve pur esserci. Dopo aver ascoltato l’opera prima dei Metzengerstein ci viene da pensare che le ragioni possano essere anche più di una.
Albero Specchio esce in cassetta, 40 minuti, due pezzi sul lato A e tre sul B, contrassegnati ognuno da un simbolo il cui significato c’è oscuro, così come oscuri sono i riferimenti che l’ascolto fa affiorare. Per una musica del genere la definizione più calzante è quella di industrial, purché non si pensi al noise informe che oggi va per la maggiore: il termine va inteso riferito dello spirito degli albori, quando quell’ambito era frequentato da gruppi dagli stili più vari, accomunati dallo spirito di ricerca e sperimentazione. In questo album, nonostante le tinte fosche, il rumore non trova posto, soppiantato da suoni acustici e sintetici dilatati e dalle onnipresenti percussioni, che evocano i tribalismi neo-primitivi dei Memorandum e i paesaggi desolati dei Morthound (fra i primi ad essere sotto contratto con la gloriosa Cold Meat) o la psichedelia etno-industriale dei Savage Republic; e anche se il rapporto a livello di stile non è così immediato, spiritualmente non sono distanti nemmeno il T.A.G.C. di Digitaria. Disinteressati alle tendenze e alle mode, i Metzengerstein si immergono in una ricerca personale fra sonorità etniche e ancestrali, suono cosmico e tribalismo suburbano, forgiando una musica realmente ritualistica che, senza bisogno di orpelli e paccottiglia pseudo-occulta, riesce a parlare alla parte più profonda di noi.