Merzbow + Sshe Retina Stimulants + Der Weze – 12/04/12 Spazio Concept (Milano)

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Sono davvero pochi i nomi della scena industriale che non abbiano calcato i palchi nostrani negli ultimi tempi (ultimo annunciato Nurse With Wound il 18 maggio a Firenze) e sicuramente quello di Masami Akita, alias Merzbow è uno dei più noti ed estremi. Tra le due date disponibili, Bologna e Milano, opto per quella meneghina, più vicina e in un luogo che immagino assai più adatto rispetto all’XM24.
La città di Sant’Ambrogio mi è già poco simpatica senza che per arrivarci debba sopportare un’ora e mezza di pioggia battente, ma trattandosi di una serata all’insegna del rumore più annichilente e potrei masochisticamente pensare che il maltempo sia in qualche modo propedeutico. Lo Spazio Concept, sito in una zona ricca di ristoranti cari impestati, ci appare piccolo e sovraffollato di varia, tipica umanità milanese, inondato di luce e del rumore della playlist a tema sparata da un impianto che non lascia troppo ben sperare. I dubbi vengono fugati dall’apertura di una porta che ci introduce al luogo dove effettivamente si svolgerà il merzbow__der_weze_spazio_conceptconcerto, una sala più ampia e con casse di tutt’altra potenza. A dimostrarlo ci pensa Der Weze, progetto di Nico Vascellari e Matteo Castro di Lettera 22. Ammetto che la commistione artista di grido + Milano + galleria d’arte (uno degli usi a cui lo Spazio può essere destinato) mi faceva temere il peggio, invece i venti minuti a loro disposizione volano fra crescendo molto cinematico-orrorifici e vocalizzi alla Void Ov Silence, curiosi nella sproporzione fra l’enfasi urlatoria di Vascellari e l’effetto della voce che, filtrata, pare provenire da chilometri e chilometri di distanza. L’inserimento di qualche frammento di musica radiofonica nel tessuto dark-ambient annuncia che la performance sta volgendo al termine, un attimo prima che sopraggiungano i primi segni di noia. Perfetto calcolo dei tempi, complimenti. Il tempo che intercorre fra questa esibizione e la successiva mi dà la possibilità osservare la fauna: come sempre in queste occasioni vanno forte i sosia di personaggi famosi e stasera dettano legge quelli di Diamanda Galas. Si distinguono poi un rabbino dark e un indie-amish col cappello d’ordinanza, che evidentemente a Milano quest’anno è un must. Il gioco più cool della serata è invece quello di cercare di identificare Masami Akita fra i vari orientali presenti in sala: un gruppetto alle mie spalle ci mette impegno ma con poca fortuna, additando prima un ragazzo poco più che trentenne, poi un ignaro settantenne che, inutile dirlo, scatta continuamente foto. Il vero Merzobw farà una fugace comparsata solo durante il set di Sshe Retina Stimulants, per poi sparire nuovamente fino al momento di esibirsi. Magari la cosa non è dovuta a sgradimento, ma dal mio punto di vista il concerto, iniziato sotto i migliori auspici con un basso schiacciasassi ed elettronica pesante, si trascina poi abbastanza monotono, fra coltri di rumore e voci distortissime, mentre sullo sfondo scorrono riprese documentaristiche di città semideserte e di periferie in rovina. Chiusa l’esibizione e completato il cambio palco (si fa per dire, dato che si suona rasoterra) Masami Akita, look all black, occhiali fumée e pallore spettrale, si fa subito notare, chiedendo che venga pulito col Mocio il pavimento in prossimità della sua postazione e chiedendo che il merzbow__spazio_conceptpubblico, in effetti molto vicino al banco degli strumenti, sia allontanato. “E’ molto timido” chiosa uno degli organizzatori, ma il marcare ulteriormente la distanza con un tavolone di legno è cosa un po’ eccessiva. Comunque sia, fatto questo il giapponese si siede davanti al suo Mac e con espressione assolutamente… inespressiva, comincia a produrre una serie di suoni che danno l’impressione che, più che suonare, stia giocando a Space Invaders. I primi dieci minuti passano così, fra rumore di fondo, comunque già elevato, e spippolamenti elettronici, poi la svolta: riacquistata la posizione eretta, Akita imbraccia una specie di mandolino che sembra trafugato dal set di Mad Max (un disco metallico fissato a un profilato, con delle molle al posto delle corde) e dà il via a un’escalation rumorosa che in breve porterà il volume ben oltre il limite del sopportabile. Come un Hendrix del dopobomba sfrega lo strumento con scatole metalliche e sbarre, lo percuote, altera il suono col mixer, scatenando un’onda di feedback all’interno della quale si distingue a fatica la pulsazione della base elettronica. Un aereo che precipita da diecimila metri fa probabilmente un suono simile. La gente nelle prime file è tutta dotata di tappi auricolari: i pochi che non lo sono passeranno il concerto con le mani sulle orecchie, immagino con risultati assai scarsi. Io, per l’improvvida idea di levarmeli negli ultimi dieci minuti per rendermi conto dell’effettivo livello del rumore, passerò tutta la notte con un insistente fischio che mi attraversa la testa. Il concerto intanto continua su queste coordinate e passato l’effetto sorpresa dato dal curioso strumento, affiora inevitabilmente una certa ripetitività. Il senso a questo punto diventa quello di resistere al rumore, impresa tutto sommato non così ardua, e a un filo di noia che dopo quasi un’ora di rumor bianco, inevitabilmente affiora. Poi il musicista si rimette al computer e lentamente fa calare il livello di suono fino a ristabilire il silenzio: scrosciano gli applausi, chissà se più di soddisfazione o di sollievo, a cui Akita risponde con un impercettibile cenno del capo, fedele a una serietà quasi eccessiva, ma tutto sommato non fastidiosa o imbarazzante come per molti artisti del genere: qui non ci sono fronzoli, niente contenuti, solo rumore. Piaccia o no, questa è coerenza. All’uscita, al rumore elettronicamente generato si sostituisce lo scroscio della pioggia battente, che mi accompagnerà per tutto il viaggio di ritorno: piove, Lega ladrona.