Manuel Pistacchio – Pellegrino (Brutture Moderne, 2025)

Diego Pasini, Francesco Giampaoli e Lorenzo Camera sono i Manuel Pistacchio.
Pellegrino ci prende per mano menandoci in un ambiente bucolico ed agreste, dove pop e folk si sposano sui colli come in qualche copertina di Lucio Battisti, prima di prendere assetate scorribande dove in controluce si potrebbe sentir anche odore di Violent Femmes. Manuel Pistacchio è essere romantico, libero e desueto, in grado di esprimersi in maniera delicata e non filtrata, tra cuori che sanguinano ed arrangiamenti che sembra dipingano circhi o fiere giamaicane sulla battigia come in Onda dopo onda. Le parole sfuggono dalla gola di Diego Pasini, e vengono pregate di fare la loro, salvando un uomo dalla sua impossibilità di agire senza loro. A tratti si insinua una leggera nuova onda d’annata, che unita all’afflato caraibico di qui sopra avrebbe portato i nostri a dei vividi anni ‘80, ben piantati e con una via personale e desueto.
Ma c’è molto altro in Pellegrino, come il percorso che la figura femminile sta portando avanti, un percorso rimbaudiano che sulle sue illuminazioni si basa. E proprio illuminata è la musica di Manuel Pistacchio: mai tronfia, mai meno che onesta, mai condiscendente. Musica che conquista ed avvolge in maniera spensierata proprio perché è semplicemente bella e curiosa.
Prendete Fuochi d’artificio ad esempio, parrebbe una canzone d’amore ma ha della sua un’indolenza che non è slacker e nemmeno posa, diciamolo: è lo scazzo di un frutto del quale mangiamo anche la pelle perché sbucciarlo è fastidioso. Così ci prendiamo tutto del pistacchio, nove trame ondivaghe che non diventeranno mai inni né canzoni d’amore universali, ma rimangono centri pieni al nostro cuore, sdraiati in mezzo al prato sotto ad un albero, urlando alle farfalle e cercando di fischiare coi fili d’erba, magari assaggiando anche dell’erba cucca. Pensando a quegli amori furibondi travestiti da psichedelica pop e correndo, via, verso il finale, verso la sera.